lunedì 28 aprile 2014

UNA PARTITA PER ANDREA!!!!!

Insieme per Andrea

questa pagina è dedicata ad Andrea Zambon
Andrea è un amico, un amico vero, di quelli con la "A" maiuscola, che conosci a scuola, all'oratorio o giocando da bambino. Puoi forse stare distante qualche tempo, non vederti o sentirti per settimane, ma non cambia nulla: l'amicizia, quella vera, non diminuisce, ne cambia. Ho voluto quindi far conoscere Andrea e la sua terribile malattia, la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) attraverso questa pagina web, nella speranza che la conoscenza di questa malattia possa essere d'aiuto nella scoperta di una terapia (oggi non esiste rimedio alcuno) e di conforto a quelle sfortunate persone che l'hanno contratta. 
Subito dopo il quarantesimo compleanno di Andrea, nel febbraio 2008, Mariagrazia, la moglie, una donna eccezionale, ha scritto questa lettera.
Andrea ha da poco compiuto 40 anni ed è stato festeggiato da tutti i suoi più cari amici: quelli di gioventù, di scuola, ex colleghi di lavoro sempre affezionatissimi e da tanti amici che si sono avvicinati a lui e alla sua tremenda malattia da qualche tempo e che tutti insieme ci sostengono nella nostra immensa odissea di sofferenza e di privazioni. Ma quest'anno Andrea ha ricevuto persino gli auguri personalissimi da un grandissimo uomo di calcio, il mitico Franco Baresi, la cui maglia n.6 è stata giustamente ritirata dal Milan perché senza uguali! Che gioia incredibile! Doppiamente felice perché Andrea, oltre ad essere di fede milanista, ha anche praticato il calcio a livello agonistico, in gioventù, come difensore avendo per modello proprio il grande Baresi!

Andrea, oggi, è purtroppo inchiodato a letto o, per poche ore, alla carrozzina; si nutre e respira attraverso due tubi che gli bucano lo stomaco e la trachea, è del tutto immobile, non emette alcun suono dalla bocca ma i suoi splendidi occhi azzurri (unica parte del corpo che interagisce con il mondo) sono pieni di vita, parlano del suo amore smisurato per la vita. Una vita che Andrea ha saputo vivere pienamente, con profonda umanità, con gioia e allegria, con sapiente coscienza nel lavoro, negli affetti e negli hobby. Una vita che lo ha fatto sentire realizzato, stimato e amato da chiunque sia entrato in contatto con lui. Una vita che ha dovuto improvvisamente interrompere nel lontano 1999 quando la S.L.A. cioè la Sclerosi Laterale Amiotrofica lo ha colpito senza alcun preavviso privandolo non solo del bene per lui supremo, cioè giocare, abbracciare e coccolare i nostri primi due figli, Mariangela e Francesco all'epoca di 2 e 1 anno, ma di tutto ciò che amava fare di più: il suo entusiasmante lavoro come responsabile degli ex "duty free" sulle navi da crociera e all'aeroporto di Venezia e le sue sane passioni. Andrea amava il contatto con la gente di tutte le nazionalità, parlare, ascoltare, viaggiare per il mondo (conosceva 5 lingue e ora non può neanche parlare l'italiano!) e soprattutto adorava il suo incantevole Brasile e la sua gente solare, il suono della loro lingua, il loro modo di vivere, la loro allegria e i loro posti splendidi che ha avuto modo di visitare più volte addentrandosi fin dentro la foresta amazzonica! Tutto ciò e molto di più glielo ha portato via, giorno dopo giorno, la SLA. 

La SLA, la crudele e devastante malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, le cellule cerebrali e del midollo spinale che permettono ogni movimento della muscolatura e che in pochissimi anni toglie del tutto la possibilità di parlare, mangiare e respirare fatta eccezione per le funzioni cognitive e sessuali. I primi segnali della malattia sono stati subdoli: Andrea all'improvviso nell'estate del 1999 ha iniziato a far fatica ad abbottonarsi la camicia, a stappare le bottiglie e poi a scrivere. I muscoli delle braccia si muovevano in continuazione (fascicolazioni) anche da fermo, ha cominciato ad inciampare ed accusare tanta stanchezza, lui che non riusciva a stare mai fermo! A settembre esegue i primi esami che si rivelano perfetti ma la visita dal neurologo non lascia speranze: è SLA. Ad ottobre Andrea non riesce più a prendere in braccio i nostri bimbi e questo sarà l'unico motivo di immenso dolore che la malattia gli lascerà. Infatti all'epoca Andrea ebbe modo di dirmi che non temeva le conseguenze del male che gli stava divorando i muscoli, i suoi grandi e tonici muscoli, e che non avrebbe mai permesso alla SLA di avere il sopravvento su di lui e per questo concepimmo la nostra terza figlia. Oggi posso dire che la SLA ha vinto sul bellissimo corpo di Andrea riducendolo ad uno scheletro ricoperto di pelle ma non sul suo viso, bello esattamente come prima ne tantomeno sul suo intelletto e sulla sua forza interiore. E' come se la SLA avesse rubato e distrutto "gli strumenti agli orchestrali" così da non far suonare più alcun muscolo, dice un nostro compagno di sventura. Ma non s'impadronirà mai della sua anima! 

Proseguendo con la sua storia, nel 2000, sorretto da una forza di volontà incredibile, continua ad andare al lavoro in aeroporto trascinandosi. Ma la nascita di Maria Cristina ad agosto lo costringe a casa, e questa volta per sempre. Nel 2001 arriva la carrozzina, altro momento di enorme sconforto, e dopo 3 anni la Peg (un sondino nello stomaco per assumere cibo e medicine). Infine a dicembre 2005, a causa delle continue polmoniti per insufficenza respiratoria, subisce la tracheotomia. E' il punto di non ritorno. Indietro non si torna più, solo un miracolo potrebbe salvarlo. Si perché la SLA oltre ad essere impietosamente e velocemente invalidante è anche incurabile con prognosi infausta nel giro di pochi anni. Ma ANDREA c'è, non molla! Oggi Andrea ha bisogno del ventilatore per respirare e necessita di aiuto costante per le più basilari esigenze, ma i suoi occhi sorridono, forse anche perché attorno a lui c'è calore e amore familiare ma soprattutto i nostri tre figli, forti, vivaci, intelligenti e pieni di vita. Durante questo doloroso ed inesorabile cammino Andrea non si è mai lamentato, non ha mai avuto una reazione fuori misura, mai un sentimento di sconfitta, mai un abbandono allo sconforto mai una imprecazione o una bestemmia. Ha una tale forza di volontà. Un coraggio ed una grinta che spiazza anche me che lo assisto quotidianamente da 9 anni e che per questo ho volontariamente rinunciato ad esercitare la mia professione di avvocato, senza rimpianti. Ma non potrei mai farcela senza l'aiuto e il sostegno prezioso di un grande uomo, il mio alter ego con Andrea. Valeriano non è solo il mio collaboratore ma è l'amico, un vero amico, un fratello per Andrea: sono in perfetta sintonia, si intendono alla perfezione,è paziente anche se per Andrea ha un difetto: è juventino!
 
Ultimamente, notevoli sono state le dimostrazioni d'affetto nei confronti di Andrea e della nostra famiglia. Anche le squadre di calcio del Venezia e delMarghera, molto sensibili alle sofferenze di Andrea, hanno organizzato un incontro di calcio a scopo di beneficenza per permettere l'acquisto di un furgone attrezzato con pedana elettrica, coadiuvate dal Banco di Credito Cooperativo di Marcon che ha preso a cuore la nostra situazione. Insomma la vita di Andrea, oggi, è scandita solo dai "NON POSSO":

PARLARE=sentire il suono della sua voce, usare il telefono, dialogare, fischiettare, cantare, gridare.
MANGIARE=frequentare ristoranti, far godere al palato, il gusto
LAVORARE=produrre, sentirsi utile
CAMMINARE=correre, passeggiare, guidare, giocare a calcio
USARE LE MANI=accarezzare, abbracciare, stringere, raccogliere un fiore, scrivere
VIAGGIARE=visitare il mondo, nuotare, sciare.

Può solo osservare, guardare, sentire, ascoltare, immaginare e sognare ma può dare tanto AMORE a me, ai suoi splendidi bimbi per i quali vive, e a tutti coloro che si avvicinano a lui. Ma soprattutto dà SPERANZA ..... una speranza intesa come una piccola luce che può diventare grande ed indicare la strada da percorrere in questo nostro stupido mondo.
Maria Grazia Morgese
P.S: Posso essere apparsa di parte quando, come moglie, ho affermato che Andrea è ed è stato un amico, un compagno ed un padre speciale ma mi sono limitata solo a rendere testimonianza della sua vita secondo l'opinione di quanti lo hanno conosciuto.
TI VOGLIO BENE........................firmato il tuo ex allenatore Massimo Lorenzato

                                                                                                                                                           Max


domenica 27 aprile 2014

......RONCALLI E WOJTYLA SANTI: UN ENORME OSSIMORO




«Santo subito», gridava lo striscione a caratteri cubitali al quadrato che emergeva sulle teste della folla, il giorno del funerale di papa Giovanni Paolo II, il 5 aprile del 2005. «È morto un santo» disse la folla di credenti, non credenti e agnostici che gremivano piazza san Pietro il 3 giugno del 1963 alla morte di papa Giovanni XXIII. La differenza tra i due sta tutta qua: il polacco deve essere dichiarato «santo», il bergamasco lo è sempre stato senza bisogno di dimostrarlo.

Chi ha avuto l’idea di abbinare nello stesso giorno i due papi per la proclamazione della santità ufficiale, è stato un genio del maligno. Mettere insieme il papa del concilio Vaticano II e quello che scientemente e scientificamente l’ha abolito, svuotandolo di ogni residuo di vita, è il massimo del sadismo religioso, una nuova forma di tortura teologica. La curia romana della Chiesa cattolica, che Francesco non ha ancora scalfito, se non in minima parte, è riuscita ancora nel suo intento, imponendo al nuovo papa un calendario e una manifestazione politica che è più importante di qualsiasi altro gesto o dichiarazione ufficiale. La vendetta curiale è servita sempre fredda.

Il Vaticano sotto il papa polacco si trasformò in «santificio» fuori di ogni controllo e contro ogni decenza: più di mille santi e beati sono stati dichiarati da Giovanni Paolo II, superando da solo la somma di tutti i papi del II millennio. Un’orgia di santi e beati che annoverano figure dubbie o equivoche come Escrivá de Balaguer, padre Pio, Madre Teresa, per limitarci solo a tre nomi conosciuti e che ne escludono altre come il vescovo Óscar Arnulfo Romero, lasciato solo e isolato, offerto allo squadrone della morte del governo del Salvador che lo ammazzò senza problema.

Papa Giovanni XXIII non ha avuto fortuna da morto. Il 3 settembre dell’anno giubilare 2000 è stato dichiarato beato insieme a Pio IX, il papa del concilio Vaticano I, il papa che impose al concilio la dichiarazione sull’infallibilità pontificia, il papa del caso Mortara, il papa del «Sillabo», il papa che in quanto sovrano temporale faceva ammazzare i detenuti politici perché combattevano contro il «papa re». Il mite Roncalli, storico di professione, fu – perché lo era nel profondo – pastore e prete, il papa del Vaticano II che disse il contrario di quanto Pio IX aveva dichiarato e condannato in materia di coscienza, di libertà e di dignità: il primo s’identificava con la Chiesa, il secondo stimolava la Chiesa tutta a cercare Dio nella storia e nella vita. Accomunarli insieme aveva un solo significato: esaltare il potere temporale di Pio IX e ridimensionare il servizio pastorale di Giovanni XXIII. Un sistema di contrappeso: se avessero fatto beato solo Pio IX, probabilmente piazza san Pietro sarebbe stata vuota; papa Giovanni, al contrario, con il suo appeal ancora vivo e vegeto, la riempiva per tutti e due.

A distanza di quattordici anni, per la dichiarazione di santità, papa Giovanni si trova accomunato di nuovo con un altro papa agli antipodi dei suoi metodi e del suo pensiero, con Giovanni Paolo II, re di Polonia, Imperatore della Chiesa cattolica, idolo dei reazionari dichiarati e di quelli travestiti da innovatori. Wojtyła fu «Giano bifronte» nel bene e nel male. Nel bene, fu un papa con un carisma umano eccezionale perché aveva un rapporto con le persone che oserei definire «carnale»; non era finto e quando abbracciava, abbracciava in maniera vera, fisica. Diede della persona del papa un’immagine umana, carica di sentimenti e così facendo demitizzò il papato, accostandolo al mondo e alle persone reali. Fu un uomo vero e questo nessuno può negarglielo.

Come papa e quindi come guida della teologia ufficiale, come modello di pensiero e di prassi teologica fu un disastro, forse il papa peggiore dell’intero secondo millennio. Mise la Chiesa nelle mani delle nuove sètte che s’impadronirono di essa e la trasformarono in un campo di battaglie per bande. Gli scandali, scoppiati nel pontificato di Benedetto XVI, il papa insussistente, ebbero tutti origine nel lungo pontificato di Giovanni Paolo II, che ebbe la colpa di non rendersi conto che le persone di cui si era circondato, lo usavano per fini ignobili, corruzione compresa. Durante il suo pontificato, uccise i teologi della liberazione in America Latina, decapitò le Comunità di Base che vedeva come fumo negli occhi, estromise santi, ma in compenso nominò vescovi omologati e cardinali dal pensiero presocratico, più dediti a tramare che a pregare.

Il suo pontificato fu un ritorno di corsa verso il passato, ma lasciando le apparenze della modernità per confondere le acque, eclissò e tolse dall’agenda della Chiesa il Concilio Vaticano II e la sua attuazione, vanificando così i timidi sforzi di Paolo VI, il papa Amleto che non sapeva – o non volle? – nuotare, preferendo restare in mezzo al guado, né carne né pesce e lasciando al suo successore, il papa polacco – papa Luciani fu una meteora senza traccia visibile – la possibilità del colpo di grazia, ritardando il cammino della Chiesa che volle somigliante a sé e non a Cristo.

Il cardinale Carlo Maria Martini, interrogato al processo di santificazione, disse con il suo tatto e il suo stile, che sarebbe stato meglio non procedere alla santificazione di Giovanni Paolo II, lasciando alla storia la valutazione del suo operato che, con qualche luce, è pieno di ombre. Il cardinale disse che non fu oculato nella scelta di molti suoi collaboratori, ai quali, di fatto, delegò la gestione della Chiesa e questi ne approfittarono per fare i propri e spesso sporchi interessi. Per sé il papa scelse la «geopolitica»: fu padre e promotore di Solidarność, il sindacato polacco che scardinò il sistema sovietico e che Giovanni Paolo finanziò sottobanco, facendo alleanze, moralmente illecite: Comunione e Liberazione, l’Opus Dei e i Legionari di Cristo (e tanti altri) furono tra i principali finanziatori e sostenitori della politica papale, in cambio ebbero riconoscimento, santi propri e anche condoni morali come il fondatore dei Legionari, padre Marcial Maciel Degollado, stupratore, drogato, donnaiolo, puttaniere, sulle cui malefatte il papa non solo passò sopra, ma arrivò persino a proporre questo ignobile figuro di depravazione «modello per i giovani».

In compenso ricevette una sola volta mons. Romero, dopo una lotta titanica di questi per parlare con lui ed esporgli le prove delle violenze e degli assassinii che il governo salvadoregno ordinava tra il popolo e i suoi preti. Il papa non lo ascoltò nemmeno, ma davanti alla foto dello sfigurato prete padre Rutilio, segretario di mons. Romero, assassinato senza pietà e con violenza inaudita, il papa invitò il vescovo a ridimensionarsi e ad andare d’accordo con il governo. Il vescovo, racconta lui stesso, capì che al papa nulla interessava della verità, ma solo gl’importava di non disturbare il governo. Raccolse le sue foto e le sue prove e tornò piangendo in patria, dove fu assassinato mentre celebrava la Messa. No, non può essere santo chi ha fatto questo.

Papa Wojtyła ha esaltato lo spirito militare e militarista, vanificando l’enciclica «Pacem in Terris» di papa Roncalli. Con la costituzione pastorale «Spirituali Militum Curae» del 21 aprile 1986 fonda le diocesi militari e i seminari militari e la teologia militare e la formazione di preti militari che devono «provvedere con lodevole sollecitudine e in modo proporzionato alle varie esigenze, alla cura spirituale dei militari» che «costituiscono un determinato ceto sociale “per le peculiari condizioni della loro vita”». In altre parole la Chiesa assiste «spiritualmente» chi va in nome della pace ad ammazzare gli altri, con professionalità e «in peculiari condizioni». Passi che fuori dell’accampamento ci sia un prete con indosso la stola viola, pronto a confessare e a convertire alla obiezione di coscienza, ma che addirittura i preti e i vescovi debbano essere «soldati tra i soldati», con le stellette sugli abiti liturgici, funzionari del ministero della guerra, è troppo e ne avanza per fare pensare che la dichiarazione di santità si può rimandare a tempi migliori.

Il pontificato di Giovanni Paolo II ha bloccato la Chiesa, l’ha degenerata, l’ha fatta sprofondare in un abisso di desolazione e di guerre fratricide, esasperando il culto della personalità del papa che divenne con lui, idolo pagano e necessario alle folle assetate di religione, ma digiune di fede. La gerarchia e la curia alimentarono codesto culto che più si esaltava più permetteva alle bande vaticane di sbranarsi in vista della divisioni delle vesti di Cristo come bottino di potere, condiviso con corrotti e corruttori, miscredenti e amorali. La storia del ventennio berlusconista ne è prova sufficientemente laida per fare rabbrividire i vivi e i morti di oggi, di ieri e di domani.

Avremmo preferito che papa Francesco avesse avuto il coraggio di sospendere questa sceneggiata, ma se non l’ha fatto, è segno che si rende conto che la lotta dentro le mura leonine è solo all’inizio e lui, da vecchio gesuita, è determinato, ma è anche cauto e prudente. Il 27 aprile, dopo avere chiesto scusa a papa Giovanni, io celebrerò l’Eucaristia, chiedendo a Dio che ci liberi dai vitelli d’oro e di metallo, anche se portano il nome di un papa. Quel giorno pregherò per tutte le vittime, colpite da Giovanni Paolo II direttamente o per mano del suo esecutore, il card. Joseph Ratzinger, che, da suo successore, perfezionò e completò l’opera come papa Benedetto XVI.

Rimango in canonico silenzio.............inutile incazzarsi

                                                                                                                       Max

giovedì 24 aprile 2014

RESISTERE SEMPRE !!!!!!!

Via 'Bella Ciao' e niente 'festa dei partigiani'. Da Nord a Sud, ecco chi boicotta il 25 aprile


L'ultimo episodio in Friuli-Venezia Giulia, dove c'è stato un tira e molla per stabilire se la celebre canzone potesse essere intonata durante le celebrazioni della Liberazione. Ma non è l'unico caso. Molti gli episodi che si sono succeduti negli ultimi anni

Via 'Bella Ciao' e niente 'festa dei partigiani'. Da Nord a Sud, ecco chi boicotta il 25 aprile
Una manifestazione dell'Associazione Nazionale Partigiani per il 25 aprile
Bella ciao” canzone proibita, anzi no. Il popolare canto partigiano alla fine potrà essere intonato durante la cerimonia ufficiale che ogni anno celebra la Festa della Liberazione, organizzata dall'Anpi e dalla Provincia di Pordenone. Lo ha scritto il prefetto in un comunicato che contraddice una decisione presa pochi giorni prima e che aveva suscitato scandalo: «Con riferimento alle notizie apparse in questi ultimi giorni, relative alla cerimonia del 25 aprile si precisa, a chiarimento delle argomentazioni emerse in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, che non vi sono motivi ostativi all'esecuzione della canzone "Bella ciao" in occasione della predetta cerimonia».

La risoluzione giunge dopo un tira e molla durato giorni. Tutto inizia quando il prefetto Pierfrancesco Galante, d'accordo con i rappresentanti di Comune (centrosinistra) e Provincia (centrodestra), per motivi di ordine pubblico sceglie di inserire nel programma la “Canzone del Piave”. “Bella ciao” viene relegata al corteo, dopo i discorsi ufficiali. «Una Provincia decorata di Medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza, non può rifiutare questo canto di pace, di amore per la Patria, di festa », dichiara allora Giuseppe Mariuz, presidente dell'Anpi provinciale. «Si tratta di una decisione assurda, lesiva dell'immagine e della democrazia. Non c'è rispetto per la storia di questo territorio. Nonostante il divieto, la canteremo lo stesso!».
Lodovico Sonego, senatore Pd pordenonese, formula un'interrogazione al Ministro dell'Interno per chiedere l'allontanamento del prefetto Galante da Pordenone. E Galante fa dietrofront.

Divieti, contromanifestazioni, Resistenza negata. Episodi che si succedono, anno dopo anno, un po' in tutta Italia. Uscendo dalla cronaca e mettendo in luce il “pensiero” di chi non vorrebbe proprio celebrare la Festa del 25 aprile, di chi tenta in tutti i modi di ostacolarla, di chi resiste dal 1945.

Rimaniamo a Nordest. A Portogruaro (Venezia) ogni anno, quando la banda comunale esegue “Bella ciao”, al termine della cerimonia nella storica piazza del Municipio, il picchetto militare e le rappresentanze delle associazioni combattentistiche e d’arma si assentano polemicamente. Domani si ripeterà la stessa scena.

E a San Donà di Piave quest’anno, per la prima volta, il nuovo sindaco (Andrea Cereser, Pd) rilancia la celebrazione assieme all’Anpi. Fino all’anno scorso, l'ex sindaco Francesca Zaccariotto (Lega Nord), che dal 2009 è anche presidente della Provincia di Venezia, ha sempre negato l’esecuzione di “Bella ciao”, definendola un canto partigiano, non adatto a una celebrazione che è «la festa della libertà per tutti gli italiani, non la festa dei partigiani». Nel periodo del suo mandato di sindaco (2003-2013) ha incentivato la Festa di Primavera della Pro loco che, guarda caso, cade proprio il 25 aprile.

Un episodio recente anche nella rossa Romagna. A Bellaria (Rimini) a pochi giorni dalla Festa della Liberazione è stato rimosso il monumento alla Resistenza nel piazzale davanti al Municipio. L'Amministrazione comunale (Popolo della Libertà, Udc, Lega Nord, Liste civiche) ha addotto motivazioni estetiche. Peccato che l’opera d’arte, realizzata dal maestro Luigi Poiaghi 35 anni fa, sia inserita nel catalogo dei Beni culturali regionali.


Gennaio 2014. Ad Ascoli Piceno Andrea Maria Antonini (ex Fronte della Gioventù, poi An, Pdl, ora Forza Italia), assessore provinciale alla cultura, già vicesindaco di Ascoli, viene fotografato allo stadio con una croce celtica al collo. Associazioni e partiti politici del territorio chiedono, senza successo, le sue dimissioni. Il commento del presidente provinciale dell'Anpi, William Scalabroni, è netto: «Un assessore alla cultura non può permettersi il lusso di passeggiare sugli spalti dello stadio cittadino facendo bella mostra della sua persona addobbata di sciarpa con tanto di simboli celtici che inneggiano e rievocano quel nazifascismo autore dei peggiori crimini a danno dell'umanità».


Per alcuni anni, proprio il 25 Aprile, a Cagliari sfilavano i neofascisti.
Nel 2012 l’Anpi, alcuni partiti (Udc, Pd, Idv) e una serie di associazioni e comitati cittadini hanno detto "basta", chiedendo alle istituzioni di impedire quel raduno, nato quando il governo della città era in mano al centrodestra. La manifestazione, nata per ricordare i caduti repubblichini, si era via via trasformata in una vera e propria parata per le vie della città, con tanto di camicie nere e simboli fascisti.
L’unico risultato ottenuto dalla petizione è stato quello di impedire il corteo, ma non la manifestazione (che è stata confermata). Nonostante un’interpellanza urgente all'allora ministro dell'Interno Rosanna Cancellieri, firmata da una decina di parlamentari sardi.


Ritorniamo nelle Marche. Il segretario provinciale del Pd di Ancona, Emanuele Lodolini, stigmatizza l’atteggiamento “offensivo e irrispettoso” del sindaco di Falconara Goffredo Brandoni (Lista civica di centrodestra) che, in occasione delle celebrazioni del 2009, avrebbe vietato alla banda comunale l’esecuzione di “Bella ciao” per poi farla intonare “solo a cerimonia chiusa”, dopo essersi tolto la fascia ed essersi allontanato dalla piazza. Lapidaria la motivazione del divieto: «Non mi piace», aveva dichiarato il Sindaco, che poi chiariva il suo pensiero: «Ho domandato al direttore della banda di attendere. Poi, una volta sceso dal palco e tolta la fascia, ho lasciato libertà totale, in quel momento potevano suonare quello che volevano, ma finché sono rimasto in piazza quella canzone non l’ho voluta. L’altra, “Fischia il vento”, è stata suonata ma non la conoscevo. “Bella ciao” però non mi andava proprio di sentirla in piazza Mazzini».


Catania, 2010. L’Amministrazione comunale dell'ex sindaco Raffaele Stancanelli (Msi, An, poi Pdl), diserta la cerimonia in piazza Duomo e il corteo, al quale partecipano oltre 2.500 cittadini, in occasione della celebrazione promossa dall’Anpi.

Episodi minori, ma significativi, a Trento e a Milano. Il 25 aprile 2005, il preside della facoltà di sociologia dell’Università di Trento nega il permesso alla proiezione di un film sulla Resistenza in un’aula della facoltà. Nel 2011, il Consiglio di Zona 5 del Comune di Milano nega all’Anpi l’uso di una sala pubblica per un convegno dedicato alla Lotta di Liberazione.
Nessun problema " 25 APRILE 1945 FESTA DELLA LIBERAZIONE "

                                                                                                                                  Max

venerdì 18 aprile 2014

INGUARDABILI: SU EBAY SI VENDE LA QUESTIONE MORALE

                                             


Il problema non è il bicameralismo perfetto, ma la Questione Morale

A furia di non voler affrontare le radici politiche della Questione Morale, basta agitare lo spettro che “verranno cancellati 315 stipendi di senatori” per mandare il popolo affamato in brodo di giuggiole. A parte che non sarà così, perché fa davvero ridere che ci sia qualcuno che vada a lavorare a gratis nel futuro Senato delle Autonomie, ma il vero problema dell’iter legislativo italiano non è il bicameralismo perfetto, bensì i regolamenti parlamentari.
Sono quelli che allungano a dismisura i tempi di approvazione di un normalissimo disegno di legge. Mentre è grazie al bicameralismo perfetto se ci siamo salvati più di una volta da leggi incostituzionali e dal sapore vagamente autoritario (posto che, quando convenivano anche al centrosinistra, vedi il giusto processo dichiarato incostituzionale e poi infilato in Costituzione a tempo di record, c’è poco da fare).
Senza contare che è fondamentalmente risibile l’accusa al bicameralismo perfetto di essere un sistema ottocentesco: gli Stati Uniti d’America, tanto elogiati, celebrati e presi ad esempio, ce l’hanno da 200 anni e non intendono cambiarlo, proprio perché un Presidente con poteri così grandi necessita di un contrappeso istituzionale altrettanto forte: si chiama sistema di pesi e contrappesi ed è di stampo liberale (visto che qui son tutti a definirsi tali, senza conoscerne i fondamentali).
Nell’Italia così tanto appassionata agli uomini della Provvidenza, invece, si vorrebbe stravolgere la Carta costituzionale (con un Parlamento delegittimato a farla, perché eletto con una legge elettorale incostituzionale) per assegnare uno strapotere al pupo fiorentino con manie di grandezza, riducendo il Parlamento, nella migliore delle ipotesi, a un bivacco di zelanti leccaculo del capo carismatico, che si limiterebbero a premere un bottone e a salvare culo e poltrona.
Senza risolvere, per altro, nemmeno uno dei problemi della politica italiana, vale a dire il clientelismo, il sottogoverno, le lottizzazioni, le spartizioni di potere e la sistematica tutela di interessi privati spacciati per interesse collettivo: per essere concisi (non circoncisi e nemmeno coincisi), si vorrebbe dotare l’Italia di un sistema di controlli costituzionali soft, senza risolvere la Questione Morale.
Un suicidio politico, per la democrazia e per l’Italia. Se fosse stato Silvio Berlusconi a proporre una cosa del genere, avremmo le piazze piene di militanti piddini con gli occhi iniettati di sangue a inneggiare a Piazzale Loreto, oggi invece quei militanti restano in silenzio e si godono la breve infatuazione con il novello Craxi fiorentino. E poi hanno pure il coraggio di sostenere che Berlinguer è la loro storia.
Si rileggano, a tal proposito, quell’articolo pubblicato su Rinascita il 16 giugno 1984, scritto da Enrico Berlinguer prima di morire: si faranno un’idea su quel che veramente diceva l’ex-leader del PCI e forse, dico forse, si riprenderanno dall’ubriacatura autoritaria. In fondo, la speranza è sempre l’ultima a morire.

                                                                                                             Max

mercoledì 16 aprile 2014

CANDIDARSI VIA WEB............LA STUPIDITA' DEL VIRTUALE !!!!

La Democrazia squalificata: le “Europarie” del M5S

I posti in palio erano obiettivamente pochi: 73. I candidati a quei posti erano davvero molti, troppi forse, a sentire i vaghi mugugni di coloro i quali erano chiamati a votare alle “Europarie” del M5S per scegliere la composizione delle liste del MoVimento alle elezioni europee del prossimo 25 maggio.
Un primo dato: balzano all’occhio i molti collaboratori di parlamentari o di gruppi regionali: ad esempio Fabio Massimo Castaldo, fidatissimo assistente di Paola Taverna, o Stefano Girard, portaborse del senatore Marco Scibona, o ancora Salvatore Cinà, collaboratore dell’On. Nunzia Catalfo.
Altra categoria cui non si poteva negare un bel seggio a Strasburgo (o almeno la promessa di un seggio) è quella di coloro i quali si erano già candidati precedentemente alle “parlamentarie” ma senza successo: stiamo parlando, in sostanza, di quella categoria che Marco Travaglio definisce “i trombati”, definizione che applicare anche ai “”cittadini del M5S costituirebbe ovviamente un enorme oltraggio alla democrazia.
Quasi da manuale il caso di Marco Di Gennaro che, a soli 27 anni, ha alle spalle ben tre tentativi falliti di accedere alle stanze istituzionali: due come amministratore comunale (in due diversi comuni) e una candidatura alla Camera; nell’allegro gruppo c’è spazio anche per Giulia Gibertoni, docente di semiotica alla Cattolica di Milano.
Poi ci sono i candidati M5S che sembrano le esilaranti caricature fatte da Maurizio Crozza e invece sono davvero candidati a rappresentare l’Italia (non quella dei partiti, ma quella della gente!) in Europa. Marika Cassimatis promette che “lavorerà per rinegoziare tutto”; Fabrizio Bertellino vuole cambiare l’Europa usando il “futuro indicativo” (sarebbe interessante chiedergli di coniugare il congiuntivo futuro, una volta a Strasburgo); poi c’è la lezione di storia tenuta dalla cittadina Grazia Mennella: “Sono nata a Napoli, quindi provenienza Regno delle due Sicilie.
Poteva poi mancare un posticino per i curriculum kitsch? Ma certo che no! Eccone alcuni: Valeria Ciarambino si definisce “innamorata del M5s e di Luigi Di Maio”; c’è poi il candidato sintetico che si presenta così: “Vincenzo Viglione, svolgo libera professione nei servizi di Ingegnere Civile in cui mi sono laureato”; Giulia Moi sostiene di essere stata “la prima Erasmus in Italia” (ho sempre desiderato sapere chi fosse il/la fortunato/a: il fatto che vada a rappresentarmi in Europa mi riempie di gioia…) o ancora Maria Saija, “figlia di nessuno di importante economicamente o massonicamente”.
Un po’ di ironia fa sempre bene, ma la questione in realtà è molto seria: davvero basta un curriculum autocompilato con dati quantomeno strambi o del tutto inutili per essere valutati dai cittadini? Davvero la politica significa passare tre ore davanti a uno schermo e cliccare sui candidati che sembrano più simpatici? Mi si potrebbe obiettare che i partiti tradizionali non hanno fatto nemmeno questo. Sì, è vero, verissimo; ma se il sistema dei partiti è stato incapace di selezionare una classe dirigente onesta, competente e preparata, ciò non significa che la soluzione sia affidarsi a un metodo ancora peggiore.
E’ un po’ lo stesso discorso delle fantomatiche riforme di Renzi: è vero, verissimo, che bisogna innovare i meccanismi istituzionali, ma questa innovazione deve necessariamente essere in meglio; non in peggio. Cambiare per il gusto di farlo, o perchè va di moda, è la cosa più stupida che un sistema politico possa fare. E, a quanto pare, anche in questo Grillo e Renzi non sono poi così distanti.
La selezione dei candidati che rappresentano la Nazione (non lo dico io, lo dice quella roba vecchia e antiquata che si chiama Costituzione) dovrebbe essere una delle funzioni più delicate di ogni soggetto politico: partito o movimento che esso sia. Invece no; ormai sembra quasi che la selezione della classe dirigente sia un’operazione di marketing, sfrenatamente tesa alla sola dimostrazione di democrazia interna.
Io credo che la democrazia sia un’altra cosa: rispetto, ascolto e anche una dose di laica umiltà, intesa come uno sforzo teso ad ascoltare l’opinione altrui, a iniziare un dialogo con chi mi rappresenta nelle istituzioni o si candida a farlo. Il web è uno strumento utilissimo se, come tutti gli strumenti, è ben utilizzato: pensare la democrazia come un input algebrico da un tablet o da uno smartphone è una concezione distorta di democrazia. Perchè questa, più che “democrazia liquida”, potrebbe sembrare una forma di liquidazione della democrazia.

                                                                                                          Max

giovedì 10 aprile 2014

MOLTI COSE NON TORNANO!!!!

  • Racconto choc a "Le Iene"
  • Un militare racconta: "Gli italiani torturavano a Nassiriya"

Il racconto choc al programma tv "Le Iene" di un militare che nel 2003 si trovava nella base di White Horse. L'uomo parla di violenze e torture sui prigionieri interrogati dai soldati italiani durante la missione in Iraq. 


Prigionieri torturati, con la testa incappucciata e le mani legate con fascette da elettricista, che venivano sistematicamente malmenati in un crescendo di violenze, passando da una camera alla successiva finchè non parlavano. E' quello che accadeva nella missione militare italiana a Nassiriya, in Iraq, secondo il racconto di un militare al programma tv 'Le iene'. A più di 10 anni dalla strage che costò la vita a 19 italiani (tra civili e militari) e 9 iracheni, queste testimonianze potrebbero costringere a rivedere gli scenari sulla presenza italiana in Iraq. Gia la settimana scorsa, lo stesso programma aveva mandato in onda un servizio in cui un ex militare aveva raccontato al giornalista Luigi Pelazza delle presunte torture che sarebbero avvenute durante la missione in Iraq nel 2003. Questa volta lo stesso Pelazza ha incontrato un altro militare, che ha raccontato nuovi dettagli.

Il racconto choc
Nel 2003 si trovava nella base di White Horse. La faccia fuori fuoco, la voce camuffata, il militare non sa di essere ripreso. Nella base si facevano interrogatori "un po' particolari", spiega. "Gente incappucciata, legata con le mani dietro con le fascette... questo facevate lì dentro?", chiede il cronista. "Chi di dovere lo faceva", "dovevi farli parlare", è la risposta. Chi prendeva queste persone? "Il Sismi". Per quanti giorni erano trattenuti? "Dipende, non c'era un tempo... c'era gente che parlava immediatamente, c'era gente a cui piaceva prendere i colpi".

Il filmato
Il militare mostra quindi un filmato che sostiene di aver girato all'interno di una tenda militare italiana a Nassiriya. Nel video si vedono chiaramente le mani dei detenuti legate con delle fascette da elettricista, una grossa benda verde sugli occhi, la testa abbassata. Poi disegna su un pezzo di carta la disposizione delle aree di una struttura di reclusione dove, dice, sarebbero stati rinchiusi gli iracheni, prima di entrare in quella che definisce "la casa", per essere interrogati. "Loro stavano qua, allo stato brado", dice. Insomma chiarisce il cronista, tra gli escrementi. E per mangiare e bere? "Io non gliel'ho mai portato". Il militare cita un sergente (oggi, precisa, diventato sergente maggiore) specializzato in alcune tecniche di tortura, come quelle con gli elettrodi. Aggiunge poi che i prigionieri durante gli interrogatori venivano "incatenati a testa in giù".

I caschi blu in Somalia e le accuse di torture
Nel 1997 alcuni militari italiani impegnati in missione di pace  in Somalia furono accusati di violenze e stupri sui somali. A distanza di anni, un'inchiesta indagò sugli abusi. Il maresciallo della Folgore, Valerio Ercole, nel 1997, subì un processo per aver praticato la tortura, ma fu assolto dalla Corte d’Appello di Firenze, per prescrizione. La difesa degli altri militari processati fu motivata dalla brutalità della situazione in cui erano costretti ad operare. La missione italiana in Somalia sotto l'egida dell'Onu, denominata 'Ibis'(cominciata il 13 Dicembre 1992 e conclusa il 21 marzo 1994) fu condotta dai parà della Folgore. Durante l'operazione di pace furono uccisi undici soldati italiani (luglio 1993), la giornalista Ilaria Alpi e il telecineoperatore Miran Hrovatin (marzo 1994). 
Forse qualcosa non torna

                                                                              Max