giovedì 10 agosto 2017

DESTRA PD? UNA REALTA'....A SINISTRA PEGGIO


                                                     

Disumano. Tutto, in questa terribile estate 2017 ci pare disumano. Il caldo mostruoso e il fuoco che divorano l'Italia: e le piogge che iniziano a sgretolarlo, al Nord. E disumano appare un discorso politico che di fronte alla più grande questione del nostro tempo, la migrazione di una parte crescente dell'umanità, reagisce invocando la polizia. Un muro di divise che faccia nel Mediterraneo quello che vorrebbe fare il muro di Trump al confine col Messico.
Eppure no: è tutto terribilmente umano. È stato l'uomo a cambiare il clima. È stato l'uomo a innescare la grande migrazione: sono state la diseguaglianza, l'ingiustizia, la desertificazione, lo sfruttamento selvaggio dell'Africa, la stolta politica internazionale e le guerre umanitarie. "Ascoltate, e intendetemi bene: è dal cuore dell'uomo che escono i propositi di male", dice Gesù nel Vangelo di Marco.
Umano, dunque: terrificantemente umano. Di una umanità sfigurata dalla paura, dalla rabbia, dall'avidità. Parliamo di tutto questo quando parliamo della vittoria della destra: peggio, di una egemonia culturale della destra che si estende sul discorso pubblico. Una egemonia culturale che domina – piaccia o non piaccia: è un fatto – il maggior partito italiano: già di centro-sinistra, oggi inequivocabilmente vittima del pensiero unico della destra della paura e dell'odio. E ci sono almeno tre differenti tipi di destra che si stanno mangiando oggi il corpo del Pd.
La prima è quella che ha dominato il pensiero unico del centrosinistra negli ultimi decenni: quella del neoliberismo appena travestito da terza via blairiana. Quella per cui ormai siamo non solo in una economia, ma in una società, di mercato. A cui non c'è alternativa. Per esempio: nella legge sulla concorrenza approvata la settimana scorsa c'è un articolo che distrugge alla radice l'idea stessa di tutela dei beni culturali. Che si potranno esportare con una semplice autocertificazione basata sulle soglie di valore. Il denaro come unico metro, la totale libertà dell'individuo, l'abdicazione dello Stato. Un articolo esplicitamente scritto dalla lobby dei mercanti d'arte, un cui rappresentante sedeva nella commissione, nominata dal ministro Franceschini, che ha scritto la legge.
Un provvedimento settoriale, certo: ma che confermando ancora che il denaro è l'unica misura della libertà chiarisce molto bene l'orizzonte anti-umano di questo "centrosinistra".
La seconda destra è quella, più tradizionale, del ministro Minniti. Una destra law and order che vuole mettere la polizia a bordo delle navi Ong: una destra perfino un po' grottesca, perché vorrebbe resuscitare la faccia poliziesca dello Stato avendo però smontato del tutto lo Stato. Se non è la Guardia Costiera a governare la situazione, nel Mediterraneo, è perché centrodestra e centrosinistra hanno indistinguibilmente distrutto lo Stato, definanziando e disprezzando tutto ciò che è pubblico, dalle forze di polizia alla scuola, dalla sanità alla forestale, dalle biblioteche ai pubblici ministeri. E non è certo militarizzando le Ong che si ricostruisce lo Stato. Come non è con il reato di immigrazione clandestina che si può sperare di affrontare l'età delle migrazioni.
La terza destra è quella di Matteo Renzi. Una destra anarcoide, individualista e populista. Una destra che sostituisce allo Stato una somma di gated communities: comunità separate dai soldi, divise per censo. Una destra che non ha nessuna chiusura verso le libertà individuali, anzi le incoraggia in chiave antisociale. Gratificando privatamente i cittadini a cui si toglie ogni dimensione pubblica, sociale, comunitaria.
E, come ha scritto Guido Mazzoni in una analisi molto fine:
Se un certo fondo di anarchismo unisce la destra populista al modello liberale classico, ciò che li separa è l'ethos. La destra populista costruisce se stessa attorno a un'antitesi netta, identitaria, fra Noi e Loro. ... Il senso comune cui la destra populista si richiama nasce dall'arcaico: è l'ethos dei primi occupanti, che separa i legittimi dagli illegittimi, i normali dagli anormali, gli autoctoni dai barbari. Il gruppo dei primi occupanti trasforma la propria identità nel corso del tempo, includendo gruppi di secondi occupanti radicati, o mostrandosi più tollerante verso identità di genere e comportamenti che fino a qualche anno fa avrebbero portato all'esclusione, ma non viene mai meno l'asimmetria fra chi viene-prima e chi viene-dopo.
È esattamente questa la chiave culturale che permette di comprendere l'affermazione di Renzi sull'"aiutiamoli a casa loro".
Dove il punto è la contrapposizione delle case: la nostra, la loro. Un fortissimo richiamo identitario: il conflitto tra "Noi" e "Loro" che prende il posto del conflitto di classe e di censo, negato, rimosso, depotenziato. E questa terza destra, si badi, non è solo del leader: la mutazione riguarda tutto il partito, come dimostrano le affermazioni di una esponente della segreteria Pd sulla "razza italiana" da perpetuare, quelle di un senatore sul fatto che salvare vite umane non è un obiettivo (perché sono le Loro vite, beninteso), quelle della sindaca che aumenta le tasse a chi accoglie Loro.
Mi pare che se non si prenda atto di questa triplice involuzione destrorsa del Partito democratico tutti i discorsi sul futuro della Sinistra italiana non faranno i conti con la realtà. È davvero possibile un centrosinistra se il centro è questo? E una forza come Mdp (che vota la legge sulla concorrenza e sostiene il governo del Codice Minniti) ambisce a contrastare l'egemonia culturale di questa nuova destra espansiva, o ne è a sua volta vittima? Sono questi i nodi da sciogliere.


Perché oggi un progetto per una nuova sinistra non può che ripartire da quel "pieno sviluppo della persona umana" che l'articolo 3 della Costituzione indica come bussola alla Repubblica. Mai come in questa estate essere e restare umani appare un obiettivo rivoluzionario.

martedì 1 agosto 2017

DA VENEZIANO QUESTA STORIA NON LA CONOSCEVO

Il Patriarca di Venezia: tutelare la vita. Ma lei non parla, non sente, non vede, non mangia, non si muove

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Elisa

www.corriere.it/cronache/17_luglio_...7f672a608.shtml

LA STORIA
Nella stanza di Elisa, in coma da 12 anni: gli occhi chiusi e le carezze di Adriana. Il papà: lei non vive
Nella camera dove vive la donna che oggi ha 46 anni: il 22 febbraio 2006 ha avuto un incidente mentre tornava a casa con il fidanzato da Padova. Lui si salvò e poi si tolse la vita per il rimorso. Da allora lei vive immobilizzata a letto all’Antica Scuola Santa Maria dei Battuti di Mestre
di Andrea Pasqualetto, inviato a Mestre

Macchine, cannule, la sacca con l’intruglio che la alimenta, il baxter che la idrata. Eccola Elisa. Ha gli occhi chiusi e la bocca aperta e chissà dov’è. Il suo mondo mentale è sconosciuto, quello fisico si risolve in questa stanza senza tempo perché qui è sempre tutto uguale. Siamo al terzo piano dell’Antica Scuola Santa Maria dei Battuti di Mestre, una casa di riposo che ha una sezione speciale e riservatissima, dove gli estranei non possono entrare. La chiamano Svp, stati vegetativi permanenti. Elisa lo è. Non parla, non mangia, non vede, non si muove. La sua è una vita sospesa da dodici anni, da quando un incidente stradale l’ha fatta entrare in questo tunnel senza uscita.
«Questa non è vita e non è neppure sospesa perché è una situazione permanente, irreversibile, non so nemmeno io cos’è... — dice il padre di Elisa, Giuseppe, che cerca una parola che non esiste per definire la condizione di sua figlia —. Elisa non ha più niente di com’era. Non la riconosco, non la chiamerei neppure persona. Lei era bella, arguta, piacevole. Ora non ha nemmeno la sensibilità di un vegetale che almeno gode di un raggio di sole, di una goccia d’acqua. Lei non potrà mai godere di niente, potrà solo soffrire». Brividi. Il signor Giuseppe che tutti chiamano Pino, si agita al telefono, mentre Elisa, 46 anni, giace immobile davanti a noi. Accanto a lei c’è Adriana, la badante che la guarda, la accarezza, la cura. «Non si è mai svegliata, le manca una parte di cervello, vedi qui...», indica.
Sul letto a fianco, corpo inerte e occhi sbarrati, la compagna di stanza. Si chiama Marina e ha 68 anni, in coma vigile permanente da dieci. Ad accudirla c’è il figlio Eros che viene ogni giorno, anche oggi che ha iniziato le ferie. «Non è un obbligo, sia chiaro, io voglio esserci perché succede spesso che le viene il catarro e io so come aspirare», dice Eros, una quarantina d’anni e gli occhi di chi deve aver visto qualcosa di brutto in questi anni.
Improvvisamente Elisa ha un sussulto e si sposta dalla parte destra del letto. Adriana balza in piedi e la blocca mentre tossisce catarrosa. La badante infila i guanti blu, prende la macchina aspiratrice, la aggancia a una sonda che esce dal collo di Elisa e aspira. «Bisogna fare così, altrimenti peggiora». Arriva anche Eros che ha l’abilità di un infermiere e cambia la sacca alimentare con quella dell’acqua. Toglie, apre, armeggia e aspetta che scenda una goccia, il segnale che il liquido la sta idratando. «Sono dieci anni che lo faccio con mia mamma, se capita ad altri intervengo».
Nella stanza di Elisa va così, si aiutano a vicenda. Anche perché oggi Pino non è potuto passare a trovare la figlia. È in viaggio verso Belluno dove incontrerà un dottore per chiedergli un consiglio sul da farsi. «Da quando è morto il nonno, un paio di mesi fa, io sono rimasto da solo a gestirla — spiega sempre al telefono —. Se mi succede qualcosa che ne sarà di lei? Mi angoscia il solo pensiero di ammalarmi, di avere un incidente che mi blocca in casa per qualche settimane». Non osa neppure pensare all’eventualità più terribile: quella di sopravviverle. «Perché Elisa ha un fisico resistente, è sempre stata così. Comunque non vorrei farne una battaglia personale, come lei ci sono molti altri pazienti in stato vegetativo». Due sono qui, dieci nella sola provincia di Venezia. Sono assistiti, curati, ma esiste il problema del fine vita.
Il signor Pino ha deciso di affidarsi all’associazione Luca Coscioni, dopo aver interpellato anni fa lo studio legale Campeis, che assisteva la famiglia di Eluana Englaro. «Il quadro normativo è chiaro, coerente e consolidato — spiega l’avvocato Giuseppe Campeis —. Il signor Pino, come amministratore di sostegno di Elisa, può chiedere al giudice tutelare di rinunciare al trattamento medico in corso. Ottenuta l’autorizzazione potrà rivolgersi al sistema sanitario nazionale per avere le cure palliative che accompagnino sua figlia a una morte senza sofferenza».
Perché, dunque, queste famiglie non chiedono l’intervento del giudice tutelare? «Non vorrei essere io a farlo — sospira Eros, mentre la madre ha un attacco di tosse —. Deve essere lo Stato a decidere. Quando era in rianimazione potevano lasciarla andare invece di stabilizzarla...». Eros la vede così. Giuseppe, invece, non esclude di chiedere la dolce morte di Elisa ma gli sembra un percorso a ostacoli. Lui è persona poco avvezza alle questioni di legge e qui c’è di mezzo il parere di un giudice tutelare. «Chiederò all’associazione Luca Coscioni cosa ne pensa, non escludo di agire per vie legali».
Dal canto suo, anche un grande esperto di stati vegetativi come il dottor Giuseppe Olivari che fino all’anno scorso ha seguito Elisa e casi analoghi, si dice perplesso: «La domanda è sempre quella: il trattamento medico in corso è o non è accanimento terapeutico? Se lo è, esiste il diritto a interrompere. Qui i comitati etici devono lavorarci perché mi sembra che non abbiano partorito alcunché». Nel frattempo, il cielo sopra l’Antica Scuola dei Battuti si è fatto azzurro. Splende un bel sole di mezza estate. Ma Elisa non lo sa.
28 luglio 2017 (modifica il 28 luglio 2017 | 11:32)

www.ilgazzettino.it/nordest/venezia...ia-2588151.html
Il Patriarcato dice la sua su Elisa: «È difficile, ma la vita è da tutelare»
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Il Patriarcato dice la sua su Elisa: «È difficile, ma la vita è da tutelare»
di Gianluca Amadori
VENEZIA - «Capisco la sofferenza, il dolore del padre di Elisa, ancora più forte oggi che si è trovato da solo ad affrontarlo e voglio esprimergli la mia vicinanza. Ma non sempre la soluzione definitiva, quella di staccare la macchina, è la soluzione: non è detto che porti sollievo. Il vuoto del dopo può essere peggio».
Non è la prima volta che monsignor Dino Pistolato si occupa di casi delicati riguardanti il tema controverso del fine vita, come questo della veneziana da 12 anni in stato vegetativo: in passato lo ha fatto incontrando Beppino Englaro, il padre battutosi per ottenere la sospensione dell'alimentazione artificiale della figlia Eluana; più recentemente commentando il caso di Charlie, il piccolo inglese gravemente malato per il quale i giudici hanno deciso di staccare le macchine che lo tengono in vita.
«La posizione della chiesa è chiara: difesa del concepimento, della vita, di una fine naturale - spiega intervenendo anche in qualità di responsabile della Pastorale diocesana della Salute - Personalmente sono contrario all'accanimento terapeutico: ci sono modi per non far soffrire le persone malate, per accompagnarle verso la fine. Ci sono strutture in grado di aiutare, di non far sentire da soli. Non è facile, lo so. Capisco la fatica e mi sento di dire al papà di Elisa che non voglio lasciarlo da solo in questo suo ultimo atto di donare amore alla figlia».