giovedì 27 dicembre 2018

............CHE PAESE

Verso un nazionalismo autoritario


Il 28 novembre 2018 la Camera dei deputati ha definitivamente convertito in legge, con la coartazione delle libertà parlamentari legata alla questione di fiducia, il decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113 in tema di immigrazione e sicurezza (adottato per parte sua, come da più parti denunciato, in difetto dei presupposti di necessità e urgenza richiesti dall’articolo 77 della Costituzione) (si veda: Il decreto Salvini: quando la ragione cede alla propaganda).
È un provvedimento fortemente lesivo dei diritti, che chiude confini e apre a nuove forme di “confino”, un provvedimento costellato di incostituzionalità. Di esso si analizza qui la parte relativa all’immigrazione, riservando a un secondo intervento l’esame della parte più strettamente legata alla “sicurezza”.
Sin dal titolo compare un topos classico, il connubio fra immigrazione e sicurezza, un mantra nelle legislazioni recenti sul tema della sicurezza, quale che sia il colore del Governo (per limitarsi a due esempi, la legge n. 94 del 2009 del Governo Berlusconi IV e il “pacchetto Minniti” del Governo Gentiloni): è una scelta le cui ragioni di fondo veicolano un approccio contro la Costituzione.
Uno Stato in cui la Costituzione adotta come meta-principio quello personalista, riconosce il diritto di asilo con una norma di ampiezza senza eguali (art. 10, comma 3), apre a una comunità internazionale improntata a pace e giustizia (art. 11) dovrebbe vedere lo straniero in primo luogo come persona, con la sua dignità e i suoi diritti. Non sono mere aspirazioni utopiche: la Costituzione è al vertice del sistema delle fonti. Nel testo normativo in esame, invece, il migrante è visto come problema di sicurezza pubblica in sé (il nemico che suscita paure e contro cui canalizzare la rabbia sociale, distogliendo l’attenzione da un conflitto sociale segnato da crescenti diseguaglianze e da un progressivo annichilimento di una delle parti). La protezione internazionale e quella umanitaria sono visti come status non da garantire ma da circoscrivere, nella prospettiva che l’asilo più che un diritto sia un escamotage utilizzato dai migranti per occupare lo spazio proprio dei cittadini. Eppure l’asilo è garanzia dei diritti universali: subentra quando essi non sono garantiti. Ma se nemmeno l’asilo è riconosciuto, cosa resta dell’universalità dei diritti?

1. L’asilo: un diritto in estinzione

Uno dei tratti connotanti il decreto legge riguarda proprio la protezione umanitaria. Essa scompare. Non esiste più il permesso di soggiorno per motivi umanitari, rimangono solo alcune ipotesi specifiche, quali il permesso per casi speciali, per cure mediche, per calamità, per protezione speciale. Ma le tipologie di permessi contemplate non garantiscono tutela ai diritti inviolabili dell’uomo in senso ampio, ex art. 2 della Costituzione, nonché ai diritti previsti nei trattati internazionali e nelle norme consuetudinarie che riconoscono i diritti della persona umana e la sua dignità (violando gli articoli 10, comma 1 e 2, e 117, comma 1, Cost.). La protezione umanitaria risponde a esigenze di garanzia dei diritti che non riescono a trovare risposta negli strumenti previsti: una necessità tutt’altro che pretestuosa, come è dimostrato anche dal fatto che forme di protezione umanitaria sono contemplate in ben 20 fra i Paesi membri dell’Unione europea.
La protezione umanitaria nel corso del tempo è diventata un succedaneo del diritto di asilo costituzionale (art. 10, comma 3, Cost.), venendo a configurarsi, con un’interpretazione avallata anche dalla Cassazione, come una terza forma di asilo. Era un asilo “minore” rispetto al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione sussidiaria: uno strumento che, insieme alle due ipotesi di protezione internazionale, – i cui presupposti (rispettivamente, in sintesi, timore fondato di subire una persecuzione e rischio di un danno grave) sono molto più rigidi dell’impedimento all’«effettivo esercizio delle libertà democratiche» della norma costituzionale, – dava una prima, se pur insufficiente, attuazione all’asilo costituzionale, privo di una legge di attuazione da ormai settant’anni. Resta l’applicazione diretta del diritto di asilo dell’art. 10, comma 3, Costituzione da parte del giudice ordinario, ma, con tutte le mancanze, che incidono sull’effettività del diritto, legate all’assenza di procedimenti, forme, disciplina dello status

2. Sempre più detenzione per i migranti

La recrudescenza nel trattamento dello straniero si esprime, poi, nell’ampliamento delle ipotesi di trattenimento. Le istanze di controllo dell’immigrazione, intrise di marketing politico, prevalgono sul diritto fondamentale della libertà personale. Un preteso diritto alla sicurezza, che si fonda sul presupposto strumentale e discriminatorio della configurazione del migrante come problema di sicurezza pubblica, annulla la sicurezza dei diritti.
In primo luogo, è previsto un prolungamento dei tempi attualmente stabiliti di detenzione nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR): da un periodo massimo di permanenza di 90 giorni si giunge a 180 giorni. Negli anni il termine massimo di detenzione è mutato, con un moto progressivamente ascendente sino al 2014, senza che all’aumento sia mai corrisposto un incremento nella percentuale dei rimpatri, che si attesta intorno al 50 per cento, indipendentemente dalla durata del trattenimento. Il prolungamento dei tempi rende ancora più stridente la collisione con la garanzia della libertà personale (art. 13 Cost.): il mancato rispetto delle norme in materia di ingresso e soggiorno sul territorio può legittimare una restrizione della libertà personale? Non vi è una sproporzione nel sacrificio della libertà personale a fronte dell’interesse al controllo delle frontiere?
Non solo: la legge introduce il trattenimento del richiedente asilo «per la determinazione o la verifica dell’identità e della cittadinanza». Tale trattenimento può essere effettuato negli hotspot o nei Centri governativi di prima accoglienza, «per il tempo strettamente necessario, e comunque non superiore a trenta giorni»; inoltre, sempre a fini identificativi, il trattenimento può essere effettuato sino a 180 giorni nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR). Così una persona che cerca asilo, che necessita di protezione, che magari fugge da prigionie o dal rischio di subirne, giunta nel Paese che dovrebbe tutelarla, incontri come primo “benvenuto” un periodo di detenzione. Non è questo l’asilo cui pensavano i costituenti, se pur in un contesto differente dall’attuale, quando ragionavano di «diritto sacro dell’ospitalità», di «animo fraterno» e di riconoscimento al rifugiato di «tutte le cure che si possono prodigare». L’ansia di distinguere il migrante economico, oggetto di rimpatrio immediato, e il richiedente asilo, da ammettere, almeno temporaneamente, sul territorio, ha prodotto la creazione di luoghi, gli hotspot, dove i diritti sono in balia di circolari e atti di soft law comunitario. Con il decreto n. 113 del 2018 oggi convertito in legge la stessa ansia legittima la detenzione in quei luoghi nel nome di una cultura del sospetto che vede in ogni richiedente asilo un potenziale “truffatore”. (E poi, per inciso, è ragionevole la differenziazione fra chi teme per la sua vita perché perseguitato e chi fugge perché non ha di che vivere? la garanzia della salute, il diritto all’istruzione, il «libero sviluppo della persona», non sono forse, in quanto tali, e in quanto pre-condizione per l’esercizio dei classici diritti civili, motivi per migrare e voler/dover costruire la propria vita altrove?).
Ragionando di richiedenti asilo è, inoltre, particolarmente evidente come sia irragionevole fondare il trattenimento sull’assenza di documenti di identità, che è “normale”, per persone in cerca di rifugio. Quale deduzione ulteriore, si può quindi osservare – con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute nel parere sul decreto in questione – che, «dal momento che la mancanza di documenti è una condizione tipica e generalizzata di coloro che chiedono protezione internazionale», la norma lascia all’Autorità di pubblica sicurezza un’ampia discrezionalità, con il rischio di «un uso generalizzato del trattenimento contrastante con i princìpi di necessità, proporzionalità e ricorso a esso solo come misura di ultima istanza».

3. C’era una volta Riace

Diritti dimezzati per i migranti irregolari e per i migranti all’approdo, ma non solo: il provvedimento del Governo restringe i diritti di chi ha un titolo, costituzionalmente garantito, all’ingresso e al soggiorno sul territorio.
In primo luogo, è previsto che lo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) tuteli unicamente i titolari di protezione internazionale e i minori non accompagnati, mentre i richiedenti asilo possono trovare accoglienza solo negli attuali centri governativi di prima accoglienza e nei centri di accoglienza straordinaria (CAS). Già allo stato attuale il sistema di accoglienza conosce limiti notevoli e una cronica sproporzione fra possibilità di tutela e numero delle persone aventi diritto alla tutela, ma narra di buone pratiche che hanno il loro punto di forza nella diffusione sul territorio, il cd. modello Riace del sindaco Domenico Lucano. Il confinamento dei richiedenti asilo in grandi strutture, spesso prive di servizi sociali, linguistici, giuridici, non tutela la dignità della persona e il suo inserimento nella società, non assicura una accoglienza conforme agli standard internazionali e comunitari, produce una ghettizzazione.    
In secondo luogo, è previsto un procedimento immediato per il richiedente asilo sottoposto a procedimento penale o condannato anche con sentenza non definitiva per alcuni gravi reati, con l’obbligo, in caso di diniego, salvo gravi motivi di carattere umanitario, di lasciare il territorio anche in pendenza di ricorso. Per lo straniero non valgono allo stesso modo la presunzione di non colpevolezza (art. 27, c. 2, Cost.) e il diritto di difesa (art. 24 Cost.).
In terzo luogo, viene introdotta, con il maxiemendamento approvato in sede di conversione del decreto, la categoria dei Paesi di origine sicuri: se è cittadino di un Paese sicuro o un apolide abitualmente residente in un Paese sicuro, il richiedente asilo deve possedere «gravi motivi» che giustificano la sua richiesta, che viene esaminata con una procedura accelerata, con la possibilità che la domanda sia rigettata per manifesta infondatezza. Non solo, si precisa che «la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone»: è possibile che siano individuate all’interno di un Paese aree sicure, con la conseguente negazione in tali ipotesi del riconoscimento dell’asilo, introducendo così una ulteriore e notevole limitazione al diritto.
Il rigetto della domanda per manifesta infondatezza è quindi esteso a una serie di ipotesi, fra le quali l’ingresso illegale nel territorio dello Stato e la mancata presentazione tempestiva della domanda. Ora, è piuttosto facile che il richiedente asilo entri illegalmente, data la sua situazione, tanto più se, ad esempio, illegali dovessero ritenersi gli ingressi attraverso gli sbarchi via mare: la violazione della norma relativa all’ingresso nel territorio legittima la restrizione nella tutela del diritto di asilo, oggetto di una procedura accelerata, che potrebbe svolgersi all’interno dell’hotspot, con immediato respingimento del richiedente?

4.  La cittadinanza diseguale

Il richiedente asilo o colui che lo ha ottenuto non è, peraltro, l’unico a dover sempre ricordare di non essere “italiano”: analoga sorte colpisce il cittadino, se prima di esser tale era uno straniero. Il “decreto sicurezza e immigrazione” prevede la revoca della cittadinanza in presenza di condanna definitiva per alcuni gravi reati, nei casi in cui la cittadinanza italiana sia stata acquisita da persona in precedenza straniera (in quanto nata in Italia e ivi residente legalmente e senza interruzioni sino alla maggiore età, o per matrimonio con cittadino italiano, o per “naturalizzazione”).  
La violazione dell’eguaglianza formale è palese ed è tale da inficiare lo stesso concetto di cittadinanza. La cittadinanza liquida, con la Rivoluzione francese, i privilegi di ceto dell’Ancien Régime e introduce una condizione universale, connotata dal riconoscimento di un identico status per tutti; la cittadinanza presuppone e riconosce l’eguaglianza fra tutti i cittadini. Il provvedimento del Governo, convertito dal Parlamento, discrimina fra i cittadini, in palese violazione dell’art. 3 Costituzione, e mina le basi di un concetto cardine dello Stato moderno, democratico, di diritto.

Il provvedimento legislativo, come anticipato, si situa senza soluzione di continuità rispetto ai provvedimenti adottati negli ultimi anni: in questo senso esso è un altro passo nella limitazione dei diritti, un passo che, nel caso dell’asilo, è uno scatto verso la sua estinzione.
Orrore e molta stupidità umana

                                                                                                                                                                                                                      Max

martedì 6 novembre 2018

LA VERGOGNA E IL SILENZO PER LO YEMEN.............

Vergogna Yemen, gli Usa frenano ma i sauditi come con Khashoggi...


La morte della piccola Amal, uccisa di fame nello Yemen. Gli Stati Uniti dalle sensibilità politiche elettorali ora chiedono la fine della guerra, ma subito nuovi bombardamenti sauditi.
-Cronache e denunce dal New York Times, The Times ed El Pais



Due giorni fa Amal
Vergogna Yemen: è morta Amal, la bambina simbolo della guerra dimenticata. “Il mio cuore è infranto”, ha detto sua madre, Mariam Ali. “Amal sorrideva sempre. Ora sono preoccupata per i miei altri figli”. 1,8 milioni di bambini nel paese soffrono di malnutrizione a causa del conflitto.


Sensibilità elettorali Usa
Gli Stati Uniti dalle sensibilità politiche elettorali, sempre due giorni fa chiedono la fine della guerra. L’orrore emotivo per le immagini di Amal che il New York Times decide di mettere in prima pagina, e l’indignazione non ancora sopita, per l’assassinio di Stato, con l’oppositore Khashoggi fatto letteralmente a pezzi. Troppo poco regale, ed amici decisamente imbarazzanti anche per l’attuale Casa Bianca.

The Times, UK
«Mattis and Pompeo demand immediate ceasefire in Yemen’s war». Dunqe, i noti guerrafondai Usa Mattis e Pompeo chiedono l’immediato cessate il fuoco nella guerra in Yemen. Svolta radicale, visto il sostegno politico e di armamenti alla coalizione saudita che massacra. Ovviamente i due prima se la prendono con i ribelli Houti, quelli sotto attacco ma dalla ‘parte sbagliata’ del nemico numero uno Iran.

Miracoli trumpiani
E anche i miracoli devono avvenire di corsa negli Stati Uniti sovranisti: dopo tre anni di massacri, trenta giorni per la pace. Altrimenti ci arrabbiamo? Consultazioni in Svezia sotto il patrocinio Onu da iniziare entro novembre per arrivare alla ‘smilitarizzazione dei confini’, rassicurazione saudita, e tutti gli armamenti pesanti sotto osservazione internazionale, fantastica Pompeo che ogni tanto regredisce alle pensate Cia. Ovviamente la prima mossa, ‘cessate il fuoco totale e subito’, tocca ai ribelli Houti.

Britannici scetticismi
Il giorno prima Alistair Burt, il ministro britannico per il Medio Oriente, aveva discusso contro una tregua, sostenendo che sarebbe inutile senza un processo politico parallelo. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti forniscono entrambi sostegno alla coalizione guidata dai sauditi e sono i due principali fornitori di armi del mondo in quella guerra. Jeremy Konyndyk, l’ex dell’assistenza Usa americana contro il disastro umanitario già avverte Pompeo della partenza a piede sbagliato.

Nel frattempo si muore
L’Onu avverte che una incombe una catastrofica carestia causata dal blocco aereo e navale della coalizione che sta mettendo a rischio 14 milioni di vite. Potrebbe essere la peggiore carestia in un secolo. L’Onu denuncia oltre 16.000 vittime causate da attacchi aerei dalla coalizione saudita. Valutazioni britanniche con dati raccolti sul territorio parlano di almeno 56.000 persone uccise nella guerra, dalla fame e alla epidemia di colera in corso.

Risposta regale saudita
Per questa cronaca passiamo allo spagnolo, El Pais. «Nuevo bombardeo saudí en Yemen a pesar del llamamiento de EE UU al cese de la guerra». Nuovo bombardamenti saudita nello Yemen, nonostante appello degli Stati Uniti per la cessazione della guerra. E l’orrore, sentite questa, che tutto parte dalla base aerea di Al Dailami, aeroporto militare della capitale, mentre l’aeroporto internazionale di Sana’a, è di fatto chiuso anche per l’Onu che l’utilizza per il trasporto di aiuti umanitari e l’ingresso e l’uscita del proprio personale, quando ci riesce.



Opportunismi elettoral-politici
Mentre il governo yemenita di Hadi afferma di essere disposto a cercare una soluzione politica, la coalizione saudita è rimasta in silenzio, ed ha anzi annunciato l’invio di 10.000 soldati al fronte di Hodeida, l’unico grande porto nelle mani degli huthi, da cui arriva il 70% dei già inadeguati auti umanitari. Considerazione politica finale: «De ahí que algunos observadores hayan querido ver en la vulnerabilidad saudí tras el caso Khashoggi una posibilidad para la Casa Blanca de acabar con la guerra de Yemen y las presiones que desde hace meses le genera en el Congreso». Vulnerabilità saudita dopo caso Khashoggi e la Casa Bianca a fare i conti con le pressioni del Congresso...

venerdì 26 ottobre 2018

I 5 STELLE E LA COSTITUZIONE...........


Per difendere la Costituzione il Movimento 5 Stelle salì perfino sul tetto della Camera dei deputati. Durante la campagna referendaria contro la riforma Renzi-Boschi un indiscutibile feeling legava i Grillini al “popolo della Costituzione”: un rapporto che si è tradotto almeno in parte anche in un voto (nonostante i tanti dubbi sull’assenza di democrazia interna, sull’assenza di un dissenso articolato e riconoscibile).

Ebbene, oggi quel rapporto è in piena crisi: se non definitivamente incrinato, certo in veloce logoramento.
Una parte rilevante del “popolo della Costituzione” inizia a pensare che tra il Movimento e la Carta ci sia un rapporto simile a quello tra la Sinistra e la giustizia sociale: una bandiera per quando si è all’opposizione, un intralcio da cui liberarsi non appena si arriva al governo. Non è, d’altra parte, un caso: il costituzionalismo moderno è leggibile come la costruzione della difesa dei cittadini dal potere dei governi. Le costituzioni legano, intralciano, impongono pesi e mettono argini: tutte cose che servono proprio a limitare l’arbitrio di chi è sopra, a beneficio di chi è sotto. Ed è evidente che tutto guida l’azione di governo del Movimento tranne che la bussola dei valori costituzionali.
Sia chiaro: non c’è, almeno per ora, un attacco formale alla Costituzione. A differenza di quelle partorite da Berlusconi e da Renzi, le riforme costituzionali proposte dal ministro Fraccaro, comunque le si valutino nel merito, sono formalmente rispettose dell’articolo 138 e ispirate alle buone pratiche suggerite in questi anni dai costituzionalisti. Ed è questo, sia detto per inciso, il motivo per cui la «Zagrebelsky e associati» (come la definisce quasi quotidianamente il Foglio) non è in armi contro questo Governo, o almeno non sul fronte costituzionale. La tesi del Foglio è che dopo aver urlato “al lupo” contro chi lupo non era (Berlusconi e Renzi), ora i “professoroni” tacciono contro i veri lupi della Costituzione (i 5 Stelle). Una tesi nutrita di evidente malafede: perché da una parte c’erano stravolgimenti formali approvati dalle Camere, qua si parla di dichiarazioni, di stile, di silenzi.
C’è tuttavia una punta di verità in questa caricatura tendenziosa, che però ribalterei nei seguenti termini: la stessa malattia che ha colpito i berlusconiani e i renziani sembra ora attaccarsi ai grillini. Se quelli avevano la febbre a 40, qua si comincia a registrare un 37,5 da non trascurare. È una conclusione che sembra fatta apposta per fare imbestialire tutte le tifoserie, ma sembra purtroppo la più vicina alla verità: e cioè che i grillini non sono troppo alieni, ma troppo normali. E la normalità culturale di questo momento storico, in realtà la normalità di gran parte della storia politica dell’Italia unita, è un netto antiparlamentarismo, nutrito di diffidenza verso la democrazia rappresentativa; è la retorica della democrazia diretta; è la passione per la prevalenza dell’esecutivo sul legislativo; è l’attrazione per la disintermediazione. Era questa la cifra delle riforme berlusconiane e renziane: e questa sta diventando anche la cifra dei 5 Stelle di governo.
L’antiparlamentarismo militante è il tratto più evidente della retorica di Di Maio e compagni. L’identificazione del Parlamento con la “casta” (la battaglia esasperata sui vitalizi), l’annunciata riduzione dei parlamentari (contraddittoria con gli ideali di democrazia diretta, visto che allenta e annacqua ancora il nesso rappresentante-rappresentati) e soprattutto la dichiarata volontà di andare verso il vincolo di mandato dimostrano il disamore verso l’impianto parlamentare, che è il cuore procedurale della nostra Costituzione. E anche la prospettiva di un referendum propositivo senza quorum sembra del tutto indifferente agli equilibri della democrazia: davvero siamo pronti a farci imporre le leggi da una minoranza agguerrita?
Se queste sono le riforme annunciate, c’è poi la prassi del Governo del cambiamento: che non cambia un accidenti, perché si nutre di decretazione d’urgenza esattamente come per i governi precedenti. Un esempio scandaloso: il Decreto Sicurezza, che limita in modo gravissimo le libertà e le garanzie costituzionali (nonostante l’incredibile firma di Mattarella, presidente assai più sensibile alle regole di bilancio che non ai diritti umani) e che è passato come necessario e urgente senza essere né l’uno né l’altro.
Aggiungiamo il (pessimo) folklore: le uscite di Casaleggio sulla futura inutilità dei parlamenti e di Grillo sui poteri costituzionali del Capo dello Stato: parole in libertà, ma parole che guarda caso vanno nella stessa direzione degli altri segnali citati. Ancora: la totale disintermediazione che porta a fare il DEF senza confrontarsi con le parti sociali, nel miglior stile renziano. Le intemerate di Di Maio contro i giornali: che fanno capire che il vicepresidente del Consiglio, nel migliore dei casi, non ha capito quali sono i limiti anche verbali dell’esecutivo in una democrazia moderna.
E poi c’è la sostanza. Berlusconi e Renzi erano lontani anni luce dalla Costituzione non solo perché hanno provato a stravolgerla formalmente: quella fu la conclusione. Ne erano remoti perché non ne condividevano il progetto: l’Italia che avrebbero creato se avessero avuto la bacchetta magica sarebbe stata profondamente diversa, per larghi tratti opposta, a quella immaginata dalla Costituzione.
Nel famoso discorso del 1955 ai giovani di Milano Piero Calamandrei disse:
«La parte più viva, più vitale, più piena d’avvenire, della Costituzione, non è costituita da quella struttura d’organi costituzionali che ci sono e potrebbero essere anche diversi: la parte vera e vitale della Costituzione è quella che si può chiamare programmatica, quella che pone delle mete che si debbono gradualmente raggiungere e per il raggiungimento delle quali vale anche oggi, e più varrà in avvenire, l’impegno delle nuove generazioni … La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico. La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare».
Qual è il cuore di questo programma? Ancora Calamandrei:
«Dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d’uomini. Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica».
Ebbene: in che direzione va la politica del Governo in cui i 5 Stelle sono gli azionisti principali? La politica razzista sui migranti, la stretta “texana” sulla legittima difesa danno o tolgono «a tutti gli uomini dignità d’uomini»? L’ulteriore spallata alla progressività fiscale (caposaldo della Costituzione) sferrata dalla presenza della flat tax nel contratto di governo? Il reddito di cittadinanza fatto così va verso «il pieno sviluppo della persona umana» o no?
Certo, ci sono anche segnali contrastanti: la lotta alle privatizzazioni e quella (però confusa e senza un progetto) contro l’austerità europea, per esempio. Ma, dobbiamo chiederci, l’Italia che i 5 Stelle stanno iniziando a costruire va verso l’Italia della Costituzione, o – come prima, come sempre – va in direzione opposta?
La domanda è urgente, le risposte per nulla tranquillizzanti.
                                                                                    articolo di Tomaso Montanari

venerdì 12 ottobre 2018

I RACCOMANDATI DEI 5 STELLE.....VERGOGNA!!!!!

Di Maio dà un incarico al ministero all'amichetto sessista e nemico dei 'ricchioni'...


Tale Enrico Esposito sarà vice-capo dell'ufficio a 65 mila euro l'anno. Le sue uniche qualità sono essere amico di 'giggino' e vomitatore di squallide volgarità sui social. Il cambiamento...


Omofobo, sessista, un personaggio rivoltante del web per le cose schifose che ha avuto il coraggio di scrivere.
Però era un amichetto di Giggino di Maio. E i grillini (vedi Lanzalone, Giarrusso e tanti amici e trombati, sono molto generosi nel ricompensare amici e amici degli amici con incarichi pubblici pagati dai contribuenti. Ossia da quella parte del popolo italiano che paga le tasse (tante) e non beneficia dei condoni per ricchi di Salvini.
Ora tal Enrico Esposito, il cui unico merito è la sua vicinanza con Di Maio è stato nominato vicecapo dell’ufficio legislativo del Ministero dello Sviluppo Economico. Percepirà 65mila euro l’anno. Che non sono bruscolini.

L’Espresso ha ritrovato una serie di  tweet condivisi tra il 2013 e il 2016, da cui emergono opinioni sessiste e omofobe e volgarità a ruota libera.
Nel 2013 commentò la nomina di Michela Biancofiore come sottosegretaria al Dipartimento per le Pari Opportunità dicendo «Non c’è modo migliore di onorare le donne mettendo una mignotta in quota rosa». Aveva poi grevemente aggiunto: «Comunque sono contento delle quote rosa al governo, almeno le leviamo da mezzo alla strada»E ancora: «#TikiTaka per Melissa Satta il dito medio di Mancini non è grave. Ovvio, “vaffanculo” per lei è un lavoro mica un insulto» twitta nel febbraio 2016.
Poi l’omofobia iniziata con volgarità vomitevoli: «Dolce e Gabbana chiusi “per indignazione”. Ma si può sempre entrare dal retro». Il tweet datato luglio 2013 riguardava la chiusura di 3 giorni dei negozi milanesi dei due stilisti dopo che l’assessore del capoluogo lombardo aveva definito sbagliato concedere spazi a marchi vip «che hanno rimediato condanne per fatti particolarmente odiosi in questo momento di crisi economica come l’evasione fiscale». 
Non pago aveva aggiunto: «Quando ti chiamano “ricchione” o rispondi “a puttan e mammt” o vai a piangere dalla maestra. Se fai la seconda cosa, sei ricchione davvero».

Emanuele Fiano
«Il vicecapo del legislativo del Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato tweet indecorosi e offensivi» scrive, rivolgendosi poi ai vertici del Movimento 5 Stelle: «ci chiediamo quanto il vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio attenderà ancora per prendere provvedimenti».
Vladimir Luxuria
Scopro solo oggi che è stato nominato vicecapo dell’ufficio legislativo del #Mise di #DiMaio #Enricoesposito che scriveva su Fb che in un paese normale Vladimir Luxuria dovrebbe stare in galera. Non ho rubato, non ho corrotto, quale reato mi contesta : divieto di trans-ito?...

lunedì 1 ottobre 2018

NAZIONE UNITE??? UNA GRANDE PUTTANATA

                            Fucilare i bambini palestinesi non è reato...

Li uccidono così, fucilandoli a freddo. Adulti e bambini senza distinzione, tanto sono palestinesi!
Sanno che per i loro continui crimini, anche se a volte configurabili come crimini di guerra, altre come crimini contro l'umanità non pagheranno alcun prezzo.
Chi sono questi serial killer finora impuniti? sono i soldati di Tsahal, le forze armate israeliane.
Ieri ne hanno uccisi sette di palestinesi inermi. Il più giovane non aveva ancora 12 anni, praticamente un cucciolo, il più vecchio ne aveva 26. Ma nessuna sanzione arriverà a fermare il grilletto dei killer, cecchini cui Israele ha dato mandato di colpire i palestinesi che manifestano lungo la linea dell'assedio.
                 

                                                                     
Manifestano per rivendicare ciò che NON dovrebbe neanche essere chiesto, se l'ONU avesse un senso, perché è già loro dovuto.
Chiedono, anzi giustamente pretendono, il rispetto di due diritti essenziali e ritenuti tali da più Risoluzioni della Nazioni Unite, il diritto alla libertà e il diritto al ritorno nelle terre che furono costretti ad abbandonare.
Solo ieri i criminali israeliani ne hanno feriti circa 500 portando a oltre 20.000 il numero dei feriti complessivi della Grande marcia per il ritorno, e uccisi altri sette portando la strage di inermi, solo lungo il border, a quasi 200 martiri.
Numeri da guerra e non da due ore di manifestazione. Una vergogna insopportabile per uno Stato democratico, ma Israele non prova vergogna, perché Israele è uno Stato etnocratico e NON democratico. Sarebbe ora di dirlo a voce alta e di pretendere, dati alla mano, che le nostre istituzioni facciano altrettanto. La vergogna non appartiene a Israele se uccide o ferisce centinaia di "goym", cioè di non ebrei, alias di non appartenenti al popolo eletto, a maggior ragione se questi sono "solo" dei palestinesi, ma appartiene a chi si riconosce nei valori democratici e per questo prova indignazione oltre che umano dolore.


Ma, al di là dell'indignazione che, in quanto democratici sinceri, proviamo davanti a tale efferata e non sanzionata violenza, cerchiamo di capire a cosa mira Israele. Non è sufficiente fermarsi all'osservazione sociologica di un dato incontestabile, e cioè ia sua sempre più evidente deriva verso una pratica a dir poco nazistoide, per dare una spiegazione convincente circa la strategia che determina tanta criminale violenza.
Netanyahu, all'assemblea dell'Onu di tre giorni fa, ha liquidato con disprezzo la questione palestinese, considerandola ormai risolta e si è tuffato sull'Iran e su Hezbollah. Ma Israele lo sa che sta rischiando e facendo rischiare molto grosso a tutto il Medio Oriente, e non solo?
Vorrà forse utilizzare una delle sue 137 o più bombe nucleari? Risulta difficile crederci. Allora cosa vuole Israele? e cosa vuol fare dei palestinesi, per restare nel tema che stiamo affrontando?
La violenza di cui stiamo parlando riguarda i palestinesi di Gaza, ma la Cisgiordania non è davvero risparmiata dagli abusi israeliani, al punto che perfino l'Alto rappresentante UE per gli Affari Esteri, F. Mogherini ha preso, almeno verbalmente, posizione (v. la minacciata demolizione della scuola di gomme e del villaggio di Khan al Ahmar). Forse, rispetto a Gaza, il suo è semplicemente un gioco criminale per testare Hamas e vedere se dopo tante provocazioni risponderà, fornendogli la possibilità di dire che è stato "costretto" ad attaccare massicciamente ancora una volta la Striscia e
poterla usare, come ritenuto da alcuni analisti, come laboratorio per sperimentare nuove armi.

Non abbiamo la possibilità di verificarlo e quindi lo lasciamo nella sfera del dubbio. Ma una cosa sappiamo ed è di pubblico dominio: Israele ha già più volte usato fosforo bianco e cluster bombs contro i gazawi e non ha avuto per questo alcuna sanzione.Perché l'ONU teme Israele? forse perché le voci di lobbies ebraiche che dagli USA governano il mondo non sono semplici fantasie?
Ma anche questo non basta a capire. C'è qualcosa che va indagato più a fondo, pena il rischio di liquidare tutto in una formula che chiama la religione ebraica a sostegno dell'agire israeliano al di fuori, al di sopra e contro ogni legalità, riducendo il Diritto e le Istituzioni internazionali in cenere.
Il problema vero non sarebbe comunque nel liquidare tutto a problema religioso, quanto le sue conseguenze circa il Diritto internazionale. Un danno che va ben oltre le violenze contro i palestinesi e lo sprezzo per i loro diritti.
Un danno che per una specie di legge fisica tracima dalla Palestina e coinvolge il mondo.
Questo consentire a Israele di agire impunito in una sorta di riconoscimento del suo essere "über alles" tollerando, o fingendo di ignorare o addirittura acclamando le sue illegalità è un problema enorme eppure i media mainstream seguitano a fornire copertura mediatica a questo Stato fuorilegge
derubricando perfino le fucilazioni di bambini a "risultati degli scontri". Scontri impossibili per definizione data la struttura del border.
Mentre trascrivo i nomi degli ultimi sette martiri per non lasciarli solo come numeri dell'eccidio, mi viene in mente il sermone del pastore protestante Niemoeller, poi ripreso nei versi di Brecht,
"vennero a prendere i comunisti ma io non dissi niente, non ero comuniista. Poi vennero a prendere gli ebrei ma io non dissi niente, non ero ebreo. Vennero..... ...poi vennero a prendere me, ma non c'era più nessuno che potesse parlare".
Che ci pensino i nostri colleghi dei media mainstream, almeno quelli che si definiscono democratici, ci pensino. E non solo per sostenere la causa palestinese che noi riteniamo assolutamente giusta, ma per non lasciar decomporre quel che che resta dei valori democratici di cui troppo spesso a vuoto riempiono le loro pagine.
Oggi sono stati sepolti   Mohammed Nayef ,14 anni,  Iyad Khalil  20 anni,  Mohammed Walid Haniya, di 24 anni come  Mohammed Bassam Shaksa, il piccolo Nasser Azmi Musabeh di soli 12 anni, Mohammed Ali Anshasi, 18 anni e  Mohammed Ashraf Al-Awawdeh di 26 anni. Tutti fucilati ti senza processo da uno Stato che compiendo abitualmente questi crimini non può che essere definito
CANAGLIA.



                                                                                                    Patrizia Cecconi - Milano 29 settembre

                                                                                                    Max

giovedì 27 settembre 2018

NON DICIAMOLO AI GRILLI...........!!!!


                                                                            



Parliamoci chiaro, c’è solo un motivo per cui sopportiamo questo governo becero....solo per aver messo alla porta la cafoneria e l'altezzosità di Matteo Renzi, per il resto pietà.
 Se in Italia ci fosse un livello culturale un pochino più alto, questo governo di incapaci pericolosi sarebbe messo di fronte alla proprie responsabilità senza alcun indugio. Invece, siamo talmente assuefatti a questo declino che tutto sembra oramai normale e permesso. Gli argomenti iniziano ad essere tanti e imbarazzanti almeno per chi ha una capacità di intendere e volere. Partiamo da Genova.
Dopo circa un mese non esiste ancora il testo del decreto Genova.
Non esiste il  Commissario  e non esistono coperture. Insomma una vergogna inaudita. In tutto questo il ministro a sua insaputa  Toninelli  continua a giocare in maniera secondo me ignobile con i modellini del ponte crollato con ridicole pose sorridenti durante la trasmissione di  Bruno Vespa
Per non parlare delle continue deliranti idee di ponte vivibile ed altre. Si fa anche su questi temi propaganda becera e ignorante senza alcun scrupolo. Se tutto questo fosse stato fatto da qualsiasi altro partito, si sarebbe scatenata la rivoluzione. Passiamo al portavoce del presidente del Consiglio, Rocco del Grande fratello. In maniera molto subdola il grande Rocco ha fatto uscire un audio dove insulta in maniere volgare,rozza e violenta i dipendenti del ministero dell’Economia. Frasi ignobili pronunciate da chi ha un ruolo di rilievo istituzionale.
Tutto ciò per l’evidente strategia di voler ancora una volta spostare l’attenzione su un altro nemico per nascondere sempre e comunque l’incompetenza e la cialtroneria dell’ex Movimento 5 stelle scolorite. A questo nessuna vera indignazione anzi giustificazioni. E come se non bastasse la risposta all’Ordine di giornalisti che ha giustamente aperto un procedimento per eventuale responsabilità deontologica nei confronti di Casalino è stata l’ipotesi di legge per abolire lo stesso Ordine dei giornalisti. Immaginiamoci cosa sarebbe accaduto se questi fatti li avesse commessi un altro portavoce di un altro partito. Siamo fuori dal mondo civile. Veniamo a Gigino Di Maio che continua a vivere nel sacro blog. Vive di annunci e frasi sui social. Non esiste alcun provvedimento fatto e promesso in campagna elettorale. Gigino lo smemorato aveva detto in campagna elettorale che le coperture per il reddito di cittadianza c'erano. Nei suoi monologhi televisivi mai contraddetto da qualche eroico giornalista e mai ovviamente confrontato con qualche politico avverso. Oggi che i nodi stanno venendo al pettine si iniziano a trovare già i responsabili per le evidenti bugie elettorali: la cattiva ragioneria di Stato. E’ come se tu, privato cittadino, fai un preliminare per acquistare una casa. Al momento del rogito per non perdere anche la caparra dici: è colpa della banca che non me li vuole dare. Ma tu nel conto non hai nemmeno un euro. Insomma per non fare esempi forse troppo complicati, se i soldi non ci sono non si possono stampare. Prima devi eventualmente tagliare spesee fare i conti con il bilancio. Ma il problema è che la massa crede a tutto e non si informa. Il problema è che i cittadini votano con la panciae non con la testa. problema è che i cittadini preferisco sentire promesse anche irrealizzabili piuttosto che la realtà. Il problema è che il cittadino non si informa ma segue l’onda del momento. Il problema è che se al cittadino gli fai notare tutto questo ti risponde: e ma allora il Pd? Il problema è questo ed enorme. L’incompetenza, la  saccenza  e la tracotanza al governo stanno già producendo danni enormi e altri arriveranno inevitabilmente. Intanto Salvini si prepara alle prossime europee e regionali con il centro-destra e l’ex Movimento 5 stelle muto. Vedremo fino a quando  Berlusconi  deciderà di far rimanere in piedi questo governo.
MA QUESTO NON DICIAMOLO AI GRILLINI…….sono la nuova sinistra web

                                                                                                                                              Max