martedì 20 giugno 2017

VOTARE ALLA TEDESCA???? ANCORA BUGIE

Renzi è un bugiardo

                                                      



Renzi è un bugiardo. Si può anzi sostenere che abbia fatto della bugia la sua cifra politica. La bugia che sta raccontando in questi giorni riguarda il sistema elettorale, perché se è vero che al riguardo la proposta del Pd si ispira alla formula elettorale tedesca, altrettanto vero deve apparire che tale formula non corrisponde minimamente all'aspirazione maggioritaria del Pd renziano. 
Il sistema elettorale tedesco non è un sistema maggioritario, sebbene la metà dei deputati del Bundestag sia eletto in collegi uninominali. In Germania, infatti, i seggi vengono distribuiti tra i partiti concorrenti in maniera, si può dire, perfettamente proporzionale perché i tedeschi hanno a disposizione due voti: con il primo eleggono un deputato nell'ambito di un collegio uninominale (cioè con il sistema maggioritario); con il secondo voto, invece, mettono la X su di una lista (bloccata, ossia senza le preferenze). A determinare quanti seggi ciascun partito otterrà è proprio questo secondo voto. Ciò comporta che, qualora un partito abbia ottenuto nei collegi uninominali un numero inferiore di deputati rispetto a quanti avrebbe dovuto vincerne in base alla percentuale ottenuta nel secondo voto, ecco che dalle liste del circuito proporzionale vengono eletti tanti deputati quanta è la differenza fra quelli eletti nei collegi uninominali e quelli a cui il partito ha diritto sulla base del voto di lista (quota proporzionale). Questo significa, altresì, che se un partito ottiene nella quota maggioritaria un sovrappiù di deputati, questo viene ad essere annullato attraverso la ripartizione della quota proporzionale. Non solo, se la disproporzionalità è eccessiva e tale da non poter essere annullata nell'ambito dei circa 600 seggi di base da attribuire, la legge prevede che vengano aggiunti seggi ulteriori (mi pare fino a raggiungere il totale di 750 seggi) tutti assegnati ai partiti sottorappresentati. 
Il sistema elettorale tedesco è dunque assolutamente proporzionale, mentre ad essere mista è soltanto la selezione dei candidati da eleggere. L’unico fattore di disproporzionalità di questa formula è la redistribuzione dei seggi di quei partiti che non hanno superato la soglia di esclusione del 5%, sotto la quale, peraltro, si colloca una fascia di formazioni politici assai marginali in termini di seggi (in termini politici ci sarebbero da fare altre considerazioni).
Ora, se Renzi vuole un sistema che faccia capire la sera stessa dello scrutinio chi ha vinto le elezioni, quello tedesco non risponde positivamente a questa necessità. Conseguentemente, se proponi questo sistema o sei stupido o ci stai ingannando. Renzi vuole semplicemente riproporre una versione edulcorata del Mattarellum, che questo parlamento non gli approverebbe. Il suo gioco è quindi quello di portare gli altri parlamentari a discutere di una formula nominalmente accettabile (perché il sistema tedesco è sempre stato tra le opzioni più osservate ed apprezzate), ma che in sostanza non è quello che si propone realmente. 
La proposta di Renzi è, mi pare di capire, un Mattarellum in cui le quote maggioritarie e proporzionali sono ridefinite in modo da essere fissate entrambe al 50% - come in Germania - ma consentendo a tutti partiti di sommare i seggi ottenuti nella quota uninominale a quelli ottenuti nella quota proporzionale, possibilità che in Germania è ammessa solo con lo scopo di annullare la distribuzione disproporzionale dei seggi tipica dei collegi uninominali. Quello che Renzi sta proponendo è il sistema in uso (o che è stato in uso fino a pochi anni fa) in Russia e in Giappone, paesi che non conoscono nemmeno il meccanismo dello scorporo (previsto dal Mattarellum).
Lo scopo e la speranza di Renzi è allora di fare man bassa di seggi nella quota uninominale e sommare a tali seggi quelli della quota proporzionale per ottenere in tal modo un effetto maggioritario che è del tutto estraneo al modello tedesco. Quest’ultima affermazione è tanto vera che in Germania non sono mai esistiti governi monopartitici, essendo stati tutti i governi della seconda repubblica tedesca formati da coalizioni. Anzi, due degli ultimi tre governi tedeschi, tutti guidati da Angela Merkel, si sono retti su di una coalizione tra democristiani e socialisti, ossia tra quei partiti che in Italia hanno i loro corrispondenti in, rispettivamente, Forza Italia e PD. Le alternative di Renzi sono, quindi, due: o cerca un accordo di governo con Berlusconi o vuole il maggioritario. Nel primo caso il sistema tedesco gli farebbe comodo, nel secondo gli sarebbe del tutto inutile.
Per ottenere gli effetti del sistema elettorale tedesco, deve essere chiaro, non occorre nemmeno prevedere l’esistenza di collegi uninominali accanto a circoscrizioni per il proporzionale, perché gli stessi esiti potrebbero essere prodotti da un sistema interamente proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. La domanda da farsi, quindi, è: perché i tedeschi si complicano la vita con un sistema misto, che misto non è perché interamente proporzionale negli effetti, (lo ripeto: ciò è dovuto al fatto che la distribuzione dei seggi nella quota proporzionale annulla gli effetti maggioritari dei collegi uninominali), dato che potrebbero adottare un semplice proporzionale con soglia di sbarramento? La risposta risiede nella storia che è all'origine della formazione della Repubblica Federale Tedesca e particolarmente alla circostanza che in quel tempo la Germania occidentale fosse ancora sotto l’occupazione militare alleata; condizioni, evidentemente irripetibili e non certo esistenti nell'Italia odierna.

In conclusione, dopo avere per l'ennesima volta precisato che non si possono ottenere effetti maggioritari con il sistema elettorale tedesco, vorrei fare un’ultima osservazione: non si può banalmente pensare che la stabilità politica della Germania, così come la sua forza economica derivino, dal suo sistema elettorale. La stabilità politica della Germania è dovuta alla solidità e credibilità del suo sistema di partito, caratteristiche che al contrario non possono apprezzarsi in Italia - così come in Francia, per esempio - dove il sistema dei partiti è ormai da anni liquido ed in decomposizione. Per dirla in altri termini, il sistema politico tedesco è una “partitocrazia funzionante”.
Una curiosità.....ma che cazzo di storia di Pinocchio circola in Toscana???

                                                                                    Max

venerdì 16 giugno 2017

NOTIFICA PER CASAPOUND E LEGHISTI !!!!!

IUS SOLI........NOTIFICA PER ULTRA FASCISTI E LEGHISTI DEL NUOVO MILLENNIO e qualche COGLIONCINO

                                                                               



Il legame tra la persona e lo Stato è un legame di appartenenza.
La cittadinanza non è altro che appartenenza ad uno Stato e da questo legame derivano diritti e doveri.
Ogni Stato definisce i criteri di questa appartenenza e ogni Stato stabilisce in maniera autonoma la linea di demarcazione tra cittadini/appartenenti e non-cittadini/estranei.
In tutti i Paesi i criteri di appartenenza sono riconducibili a quattro categorie:
1) Per nascita da genitore cittadino (ius sanguinis);
2) Per nascita sul territorio dello Stato (ius soli);
3) Per matrimonio con un cittadino (iuris communicatio)
4) Per beneficio di legge rispondendo a requisiti predeterminati (in Italia: per essere residenti ininterrottamente per 10 anni; per essere nati da genitori stranieri e se si risiede ininterrottamente fino a 18 anni facendo domanda entro i 19 anni).
In Francia vige il principio dello ius soli per cui coloro che nascono sul territorio francese da genitori anch’essi nati in Francia, sono cittadini francesi. In Francia lo ius soli vige già dal 1515 ma in Francia la cultura dei diritti umani è certamente più interiorizzata che altrove e non è un caso che in quello Stato nel 1789 fu emanata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino.
Anche in altre nazioni come la Spagna, la Germania, il Brasile, l’Argentina, gli Stati Uniti, per citarne alcuni, vige lo ius soli, anche se con differenti modalità di accesso.
Le norme più restrittive sono quelle italiane e quelle svizzere.
L’incremento dei flussi migratori ha imposto agli Stati di affrontare le conseguenze connesse alla condizione di stabilità sul territorio dello Stato da parte dei non-cittadini e dunque la cittadinanza diventa il limite dell’appartenenza ad una comunità per concedere o negare, sostanzialmente, l’esercizio dei diritti politici.
Gli emigranti italiani di terza e quarta generazione, che non hanno alcun legame diretto con l’Italia, e non è infrequente che non ci siano mai stati, partecipano alle elezioni politiche, mentre i non-cittadini/estranei pur pagando le tasse nel nostro Stato, non hanno la possibilità di esercitare il diritto di voto.
E’ indubbio che le problematiche dell’immigrazione non si siano mai storicamente risolte con l’esclusione ma abbiano trovato una svolta di equilibrio attraverso legislazioni che hanno favorito l’integrazione.
L’adozione del criterio dello ius soli è certamente una modalità che va nel senso della soluzione delle problematiche derivanti dai flussi di immigrazione.
Attraverso la regolamentazione della cittadinanza lo Stato è posto nella condizione di esprimere la sua volontà politica di attuazione o meno del principio di uguaglianza stabilendo le condizioni di superamento del mero profilo giuridico-formale per attuare piuttosto un principio sostanziale di valorizzazione di etnie diverse, di principi religiosi differenti, di culture differenti, nella prospettiva di una integrazione che si alimenta del reciproco riconoscimento delle singole specificità.
In Italia il principio di uguaglianza non è culturalmente interiorizzato.
Ancora molti confondono il principio di uguaglianza con la escludente affermazione di stampo religioso secondo la quale “siamo tutti uguali perché siamo tutti figli di dio” e dunque chi non è figlio “dello stesso dio” non può essere uguale.
Al di là delle devianze religiose, il principio di uguaglianza significa piuttosto che tutti hanno accesso agli stessi diritti e devono rispondere degli stessi doveri e non significa di certo che siamo tutti uguali.
Se la cittadinanza è pur sempre il legame tra l’individuo e l’autorità statale, in un contesto storico come il nostro, nel quale molte delle autorità statali sono state cedute ad istituzioni sovranazionali e organisti comunitari, la cittadinanza ha già subito una mutazione con un evidente superamento delle schematizzazioni tradizionali, tanto che si è fatto largo il concetto di cittadinanza comunitaria.
Mutare la legislazione in Italia sull’accesso alla cittadinanza e dunque anche quella del criterio dello ius soli, è indubbiamente un passo verso la valorizzazione del principio di uguaglianza nella consapevole presa d’atto che siamo già una società connotata dal multiculturalismo.
In questo frangente si inserisce una sentenza del Tribunale di Lecce del marzo del 2013 che sancisce: “È cittadino italiano non solo lo straniero che, al momento della nascita, è stato iscritto all’anagrafe e possedeva il permesso di soggiorno, ma anche chi, semplicemente, aveva i requisiti di fatto per ottenere sia iscrizione che titolo, sebbene nessuno si sia attivato per richiederli”.
Questa sentenza sottolinea la necessità di rivedere la legislazione sui criteri di attribuzione della cittadinanza non solo nell’ottica di una più efficiente attuazione della normativa vigente, ma di una revisione generale dei criteri di accesso includendo lo ius soli che allineerebbe la legislazione italiana a quelle più avanzate.
Scontiamo purtroppo una diffusa povertà culturale che associa lo straniero al crimine anche quando le statistiche dell’ISTAT dicono il contrario.
Le statistiche dicono anche che le percentuali di crimine diminuiscono se gli stranieri diventano regolari, non solo in riferimento alla condizione di clandestinità, ma in riferimento ai reati più diversi.
L’ostilità con la quale sovente si discute dello ius soli è indicativa di come i vincoli di identità sociale, o etnica o religiosa o politica, interpretati in maniera escludente, siano la cartina tornasole della povertà culturale della popolazione italiana, in bilico tra la sudditanza psicologica e giuridica ad una monarchia confinante e l’incapacità di difendere i principi ispiratori sui quali si è fondata la Nazione che qualifica la propria cittadinanza.

                                                                                                            Max

venerdì 9 giugno 2017

BASTA PARLARE DI RENZI PER CARITA'................

                              

Leggere mi consente di riflettere attentamente....questa volta sull’evoluzione della specie. Avevo sempre creduto, infatti, che il processo evolutivo avesse seguito per grandi linee questo percorso: esseri venuti dal mare – abbiamo nel sangue quasi tutte le sostanze contenute nell’acqua marina – si adattano a vivere tra acqua e terra. Più o meno anfibi, questi organismi si modificano al punto di abbandonare il mare e vivere stabilmente sulla terraferma. Tra le specie che meglio sanno adattarsi, una si distingue tra tutte: la scimmia antropomorfa. Passo dopo passo, la coda si atrofizza e oggi non è che un’appendice estrema della colonna vertebrale, il coccige, testimone di ciò che fummo in un tempo che ritenevo lontano. A noi non restano che alcune vertebre saldate tra loro e prive di una funzione reale. Fermamente credevo che, partiti, dal mare e approdati a terra, per mille vie e nel corso di un tempo che è molto più lungo delle età della storia, ci fossimo trasformati in quello che siamo. Credevo anche che questo valesse per tutti noi. E’ proprio vero, però, che nessuna scienza è mai così esatta che non si possano registrare delle inspiegabili contraddizioni.
Prendete la politica, per esempio, e osservate uno dei suoi esemplari più noti: il “leader di sinistra”.

Se si mettono assieme gli elementi che possediamo, è facile credere che ad un certo punto del cammino, nonostante le differenze enormi – riformisti, rivoluzionari, socialisti, socialdemocratici, comunisti e chi più ne ha più ne metta – nonostante questo e molto altro, la trasformazione c’è stata: Bordiga, Gramsci, Togliatti, Berlinguer per quanto lontani tra loro ti sembrano della stessa famiglia. Poi, però, qualcosa deve essere evidentemente accaduta; quando ti trovi davanti a Renzi, infatti, i conti non tornano e te ne rendi conto con dolorosa chiarezza. Per carità, la coda non si vede, ma come escludere che la tenga prudentemente nascosta? Riformista, rivoluzionario, socialista, socialdemocratico, comunista? Nulla di nulla e forse l’esatto contrario. Tutto ti fa pensare davvero a una misteriosa involuzione: l’homo sapiens si è modificato anche nell’aspetto esteriore. Per ora si tratta di sfumature, dettagli – occhi lievemente spenti e una fissità da bambolotto di plastica, che sconcerta – ma il processo involutivo, tuttavia, il pericoloso ritorno ai pitecantropi non richiede approfondite analisi o dimostrazioni. Il passaggio dalla scimmia antropomorfa ai suoi lontani antenati si documenta da solo. “Renzi, fuori la coda!”, ti viene da esclamare ma, se ti fermi e rifletti, ti rendi conto che, oltre al leader, ci sono in giro tre milioni di figli dell’homo sapiens che l’hanno votato! Un dubbio angoscioso allora ti sorge: non è che le involuzioni sono contagiose? Se è così, vade retro Renzi, alla mia età, ci manca solo la coda! 
                                                         Max