mercoledì 14 dicembre 2011

IL BUSINESS DEI ROSARI

Da Skutari, Albania, al Vaticano. Dal Vaticano all'entroterra di Rimini. A seguire la filiera dell'oggetto-simbolo della devozione cristiana si trovano, in tempi di globalizzazione e delocalizzazione, sorprese amare. Come, ad esempio, che donne albanesi imprigionate in casa dal codice Kanun guadagnano sette centesimi per assemblare una corona che nelle botteghe romane viene rivenduta a venti euro

Un mese di lavoro vale due polli per le albanesi prigioniere del kanun
L'antico codice d'onore dell'Albania del Nord costringe in casa le donne imparentate con un assassino. E qualcuno ne approfitta per appaltargli con paghe da fame la fabbricazione di rosari che poi vengono venduti nelle strade attorno al Vaticano a trecento volte quel miserabile compenso. Non c'è reato, solo molta vergogna per uno sfruttamento destinato a creare oggetti di devozione
Da 7 centesimi a 20 euro

I rincari di un rosario

Naturalmente va conteggiato anche il materiale, ma quel che salta all'occhio è la distanza tra il costo del lavoro in Albania e il prezzo al cliente nei negozi romani: qualcosa come trecento volte di più. Una sproporzione che dev'essere chiara anche a intermediari e venditori, se parlarne a un giornalista è così difficile
La fabbrichetta leader delle corone

"Vendiamo fino in Nuova Zelanda"

La fabbrichetta leader delle corone "Vendiamo fino in Nuova Zelanda" La Lauretana sta a Cusercoli, settanta chilometri da Rimini sull'Appennino emiliano. E' nel ramo dal dopoguerra, quando erano le donne di qui ad arrotondare facendo rosari in casa. Ma oggi, con la crisi e la delocalizzazione, produce anche in Cina, Albania, Ecuador, Romania. E non sempre è facile controllare gli intermediari...
"I prodotti italiani sono ancora i migliori

ma il problema è la concorrenza cinese"

"I prodotti italiani sono ancora i migliori ma il problema è la concorrenza cinese" Seguendo la traccia dei rosari fabbricati a Skutari si arriva al Vaticano. "Per te che sei italiano facciamo quindici euro, se fossi americano sarebbero venti". E il principale fornitore dello shop dei Musei Vaticani promette: "Abbiamo molti sub-fornitori, è possibile che ci siano casi di sfruttamento. Faremo verifiche e, se del caso, troncheremo i rapporti"
Mio dio che squallore.....ma troveranno senz'altro una giustificazione 


                                                                                                         Max

1 commento:

  1. Come spesso succede, lo sfruttamento avviene dove esiste la povertà, non solo delle donne, ma anche di bambini che fin da piccoli conoscono questa realtà dura da vivere. Il Vaticano sicuramente troverà una giustificazione sulla lavorazione di questi prodotti, bisognerebbe una volta arrivati sui nostri mercati non acquistare nessun prodotto che viene dall'est, ma io chiedo a te, per loro è meglio una briciola per poter mangiare o niente del tutto? lo so la cosa migliore sarebbe quella che anche loro, non subissero lo sfruttamento e ogni paese sarebbe uguale a tutti e ognuno di noi abbia ciò che merita, i diritti delle donne, i bambini che crescano come bambini. Ma il nostro mondo purtroppo non è così, dai tempi dell'uomo di Neandertal esiste la schiavitù, i nostri sogni purtroppo non coincidono con la realtà, speriamo che la tenacia di chi ci crede possa migliorarlo, non per me o per te, ma per i figli i nipoti e tutti coloro che amano credere che un giorno il nostro mondo possa essere migliore.....

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