mercoledì 20 giugno 2012

.......UNA TEORIA DA LEGGERE !!!!





TEORIA DI MARC FABER
Una curiosa teoria economica che è stato annunciata negli Stati
Uniti. Il tipo si chiama Marc Faber.
È un analista in borsa e uomo d'affari, un imprenditore che ha
successo.
Nel giugno 2008, quando l'amministrazione Bush ha studiato un
progetto per aiutare a rilanciare l'economia americana,
Marc Faber ha scritto nel suo bollettino mensile un commento con
molto umorismo:
"Il governo federale sta valutando di dare a ciascuno di noi una
somma di 600,00 USD.
Miei cari connanzionali americani:
Se noi spendiamo quei soldi al Walt-Mart, il denaro va in Cina.
Se noi spendiamo i soldi per la benzina, va agli arabi.
Se acquistiamo un computer, il denaro va in India.
Se acquistiamo frutta, i soldi vanno in Messico, Honduras e
Guatemala.
Se compriamo una buona macchina, i soldi andranno a finire in
Germania o in Giappone.
Se compriamo regalini, vanno a Taiwan, e nessun centesimo di questo
denaro aiuterà l'economia americana.
L'unico modo per mantenere quel denaro negli Stati Uniti è di
spenderlo con puttane o birra, visto che sono gli unici due beni che si
producono ancora qui.
Io sto già facendo la mia parte ...

" Risposta di un economista italiano, anche lui di buon umore:
""Carissimo Marc: La situazione degli americani è realmente sempre
peggiore.
Mi dispiace informarti, che la fabbrica di birra Budweiser è stata
acquistata dalla multinazionale brasiliana AmBev.
Pertanto agli americani restano solo le puttane.


Ora, se queste (le puttane) decidessero di inviare i loro guadagni ai
loro figli, questi soldi arriverebbero direttamente
al CONGRESSO DEI DEPUTATI ITALIANI qui a Roma, poiché qui esiste la
maggior concentrazione di figli di puttana del mondo"".



                                                                                        Max

lunedì 18 giugno 2012

IL CORAGGIO DELL'IDEOLOGIA.....

Ripartire dall’orgoglio d’esser comunista

                 
Qualsiasi compagno, che non sia ottenebrato da logiche di apparato e da partigianerie di appartenenze fuori luogo e incorreggibilmente autoreferenziali, non può che condividerne i contenuti ed esserne ancor più stimolato ad una franca e costruttiva riflessione critica e autocritica.
Alle riflessioni del compagno mi sentirei soltanto di aggiungere qualche spunto volto a individuare limiti ed errori che hanno determinato quella drammatica deriva e gli effetti di cui soffriamo le conseguenze e che egli efficacemente rappresenta.
In breve, credo che esistano due ordini di cause principali, tra loro strettamente connesse, che hanno determinato tutte le altre: la prima – propedeutica e di lunghissimo periodo – è il crescente (e, inizialmente, non percepito) distacco dalle categorie e dal metodo del socialismo scientifico; la seconda – conseguenza diretta della prima – è l’affievolirsi prima e la scomparsa poi di ogni capacità propositiva di classe.
La difficoltà crescente a leggere le trasformazioni epocali che si preparavano e, poi, si realizzavano nella realtà strutturale e nella società utilizzando con rigore e coerenza lo strumento teorico del marxismo – che, invece era ingessato come “dottrina” nell’ortodossia – ha determinato nel corso di decenni un lento ma inesorabile scivolamento verso il pragmatismo e l’opportunismo in ogni ambito – culturale, politico, organizzativo – con l’abbandono progressivo dei principi e dei valori, dei metodi di indagine e di lavoro, delle concezioni, dei ruoli, dei rapporti, degli strumenti e dei metodi organizzativi.
Con l’attenuarsi del rigore e della coerenza teorica si è parallelamente affievolita e, alla fine, spenta ogni autonomia culturale e politica, ogni capacità e possibilità di interpretare bisogni reali e aspirazioni delle classi subalterne, di proposizione dei percorsi, degli obbiettivi e dei metodi di lotta.
La fine sostanziale della rappresentanza degli interessi – storici e contingenti – di queste classi ha portato – insieme ad una torsione involutiva verso una concezione e una pratica tutta e soltanto istituzionale della politica – ad un progressivo e inarrestabile distacco tra le residuali e pretese “avanguardie” organizzate e le masse, tra partiti ed elettori. Al punto, paradossalmente, da essere espunti proprio da quelle istituzioni che avevano finito per rappresentare l’unico orizzonte concepito e possibile della propria esistenza politica.
E mentre milioni di lavoratori e di disoccupati, di giovani e di anziani, di donne e di pensionati venivano lasciati nell’abbandono e nella sfiducia, i gruppi dirigenti continuavano – nella ormai cronica e irreversibile estraneità alla teoria – a perseguire pervicacemente le proprie incredibili alchimie politiciste e organizzativistiche – attraverso separazioni (molte) e assemblaggi (pochi) –, sempre autoreferenziali e minimaliste, sempre inesorabilmente foriere di fallimenti e di sconfitte.
La Federazione della Sinistra non poteva sfuggire a questa logica perversa e autolesionista. E – senza voler entrare nel merito – all’amara constatazione che fa Gianni Fresu, occorre aggiungere che il suo fallimento era inevitabile dal momento che ad essa è sempre mancato – fin dal momento della sua costituzione e poi nel corso della sua vita apparente – il programma, l’unico elemento che avrebbe obbligato ad un confronto sui contenuti e quindi a recuperare almeno un brandello di identità, di autonomia, di proposizione comuni e dunque di una plausibile ragion d’essere che avrebbe potuto portare ad un minimo di recupero del rapporto con le masse, ma anche di coesione, di omogeneità, di speranza di crescita unitaria.
Anche la conclusione – dolorosa, ma spietata – e il giudizio inappellabile sui partiti e sui gruppi dirigenti a cui Gianni Fresu giunge in base ad una sofferta esperienza e ad una travagliata riflessione, sono pienamente condivisibili, e non da oggi. Se il prezzo che si sceglie di pagare sono la rinuncia a qualsiasi residuo di identità e di autonomia e la subordinazione pur di rientrare in parlamento per poter pagare lo stipendio a dirigenti e funzionari di partito e per “far politica” (?!?), allora un approdo tanto miserabile davvero richiede l’“eutanasia” che il compagno auspica: delle “abitudini”, ma anche dei gruppi dirigenti e degli stessi “partiti”, di chi, cioè, refrattario ad ogni autocritica, con arroganza, pretende di imporre i percorsi e i metodi che hanno portato alle innumerevoli sconfitte e al decadimento.
Una “eutanasia” come necessaria premessa alla proposta di una “nuova costituente dei comunisti e degli anticapitalisti”.
Sappiamo tutti bene come non sia la prima volta che una proposta simile viene avanzata. Essa è stata e resta negli auspici di tantissimi comunisti che vi vedono l’unico orizzonte possibile. Molti compagni – anche con quel minimo di organizzazione che è possibile e necessaria – hanno provato e ancora provano tenacemente a percorrere questa strada. È una prospettiva ancora nebulosa ma concreta, tant’è che indirettamente e, perfino, inconsapevolmente, ad essa si ispirano iniziative, movimenti e tentativi ancora immaturi di aggregazione.
Il compito, allora, è di capire perché questi tentativi si sono spenti o sono stati fino ad oggi frustrati, che possibilità e a quali condizioni potrebbe avere spazio e futuro una prospettiva di tal genere, diversamente strutturata, senza dover attendere la totale cancellazione dell’esistente.
Credo che sia possibile e inevitabile provare a ripercorrere questa strada, e che sia necessario puntare su due elementi: quello identitario e quello propositivo.
Quando parlo di “identità comunista” intendo diverse cose, non astratte né nostalgiche e né tra loro separabili.
In primo luogo identità comunista come riappropriazione piena, rigorosa e coerente della concezione del mondo e della teoria del materialismo dialettico e storico. Dunque, non come stereotipo dottrinario ingessato, ma come strumento vivo per la interpretazione e il cambiamento radicale della realtà in continua e tumultuosa trasformazione.
In secondo luogo, quindi, identità comunista come consapevole assunzione di responsabilità perché la prospettiva del comunismo è l’unica concreta e ineludibile possibilità di fuoriuscita effettiva dalla crisi e di superamento del capitalismo. Non è possibile assistere inerti al paradosso che tutte le condizioni oggettive necessarie per il salto rivoluzionario diventino ogni giorno più concrete come mai nella storia del capitalismo – al punto che perfino i teorici più intelligenti della borghesia riconoscono la giustezza dell’analisi marxiana – e il soggetto rivoluzionario resti timoroso e inerte, trascinandosi penosamente alla coda degli avvenimenti e nella scia di percorsi e proposte inadeguate o bastarde.
E, quindi, identità comunista come rivendicazione orgogliosa di sé, della propria concezione del mondo e della propria prospettiva storica, ma anche – finalmente, di nuovo – della propria storia che è stata lasciata – via via, nel corso di circa 70 anni, dai fatidici anni ’50-‘60 – appannare, falsificare, demonizzare, non soltanto dall’avversario ma anche dagli elementi più opportunisti emersi dal nostro stesso seno.
Infine, identità comunista come capacità di proposizione politica concreta, scaturita dal corretto e attuale utilizzo delle nostre categorie interpretative nella realtà contemporanea.
E siamo, allora, alla proposta che dovrà essere concreta, comprensibile, realistica e praticabile per poter “impossessarsi delle masse”, unico, vero soggetto del cambiamento sotto la giusta direzione politica.
Proposta che vuol dire, nella nostra tradizione – non dobbiamo inventare niente, ma solo raccordare cultura ed esperienza storica alle condizioni del presente –, “programma minimo”, senza cui non sono possibili né il necessario recupero di fiducia strutturata con le masse, né un primo livello di unità e, dunque, nessuna “costituente”, ma solo un ennesimo assemblaggio di soggetti che resteranno diversi.
Le condizioni oggettive sono – paradossalmente, nonostante i fatti sembrino dimostrare il contrario – favorevoli: non soltanto la crisi è irreversibile e si sviluppa secondo le linee e verso gli sbocchi ampiamente leggibili nella elaborazione marxista, ma anche tutto ciò che si agita nella società – per quanto parziale, spontaneo, immaturo o, perfino, strumentalizzato – è obbiettivamente favorevole ad un intervento qualificato dei comunisti e, addirittura, lo esige. Tutti fenomeni che – impropriamente – vengono sbrigativamente bollati di “antipolitica” o di “allontanamento dalla politica”, l’astensionismo, l’autorganizzazione, sono i sintomi di un vuoto profondo che soltanto i comunisti con la loro proposta possono colmare: fenomeni come in passato la Lega ed oggi i “grillini” sono uno schiaffo all’incapacità dei comunisti di saper intercettare, organizzare e finalizzare il bisogno di rinnovamento e di cambiamento che dilagano nella società.
Ma concretezza, comprensibilità e praticabilità della proposta vogliono dire anche tener conto del contesto non favorevole all’idea di comunismo per lo stillicidio di demonizzazioni che ne è stato fatto e per il discredito e la sfiducia di cui noi stessi portiamo la responsabilità, e che nessuna rivendicazione orgogliosa potrà far sparire d’incanto. E, del resto, siamo ancora troppo pochi, troppo fragili e immaturi, troppo diffidenti e litigiosi – capacità e unità le dovremo conquistare, pezzo per pezzo, sul campo – per assumerci, dopo decenni di deriva negativa, da soli l’onere di raccogliere e dirigere le forze popolari contro il capitalismo. Sarebbe un grave errore di volontarismo e di velleitarismo. Realistico, in questa fase, è invece assumersi il ruolo e l’onere di essere l’elemento di proposizione, di coagulo e, possibilmente, di direzione di un fronte anticapitalistico che determini la massa critica capace di contrastare efficacemente le politiche capitalistiche, in cui far crescere le nostre capacità politiche, imparare a realizzare l’egemonia, mettere a punto programmi e metodi di lavoro, da cui attingere proseliti alla causa del comunismo.
Naturalmente occorrerà fare molta attenzione a non ripetere l’eerore di confondere i due livelli e a non diluire il partito nel fronte, ma a costruire l’unità dei comunisti e il loro partito operando ed esercitando l’egemonia nel fronte.
Chi scrive questa nota rivendica orgogliosamente 52 anni di militanza attiva, ma deve lamentare 70 anni di anzianità anagrafica. Non è sui vecchi e sui meno vecchi che la ricostruzione può essere basata: la loro esperienza deve essere capitalizzata come retroterra e sponda, ma il nuovo percorso deve essere affidato a menti e a gambe giovani, capaci di leggere questo tempo – il loro tempo – e di avanzare con orgogliosa determinazione. Già molti anni fa – al momento dello scioglimento del PCI e della “rifondazione” – avremmo dovuto coraggiosamente affidare il gravoso compito di ricostruire una identità teorica politica e organizzativa comuniste a compagni giovani e giovanissimi. Coerentemente con le altre scelte di merito, si preferì il continuismo anche su questo terreno. Quando si fece ricorso ai giovani – ad alcuni giovani – vennero selezionati i più rampanti, quelli più adatti ad affossare ciò che restava del comunismo. L’esperienza è una risorsa preziosa, ma inevitabilmente vuol dire anche cattive abitudini, convinzioni e metodi non necessariamente corretti. La “rifondazione” – e quel che ne è seguito – è stata gestita in assoluta continuità con il vecchio PCI e con i rottami della “nuova sinistra”, nelle concezioni, nei contenuti, nei metodi e dal vecchio personale politico corresponsabile – se non altro, passivo – del decadimento. L’azzeramento degli organismi dirigenti va esattamente nella direzione di una netta discontinuità. Ed è qui che si misurerà politicamente ed eticamente la disponibilità di ciascuno a mettersi in discussione e a porsi non alla guida, ma al servizio dell’idea e della pratica del comunismo........be se ci fosse vivo ancora mio padre probabilmente lo avrei fatto felice

                                                                                                                           Max


giovedì 14 giugno 2012

GRANDE MANOVRA DI MONTI PER SALVARE L'ITALIA........SVENDERE!!!!!

UN PAIO DI MESI FA SCRISSI SULLA MIA PAGINA FACEBOOK COME IL NUOVO AMMINISTRATORE DELL'AZIENDA SANITARIA DI VENEZIA AVEVA SALVATO IL BILANCIO IN ROSSO DELLA STESSA AMMINISTRAZIONE.
SEMPLICISSIMO......APPENA PRESO LE REDINI DELLA GESTIONE HA COMINCIATO A CHIUDERE REPARTI E VENDERE IL PATRIMONIO DELL'AZIENDA STESSA.
CHIUSO IL FAMOSO OSPEDALE GIUSTINIAN UNO DEI PIU' IMPORTANTI OSPEDALI SPECIALIZZATO IN GERIATRIA......L'OSPEDALE AL MARE.....UNICO E VITALE OSPEDALE DELL'ISOLA.........CHIUDENDO GLI UFFICI GENERALI DELL'AMMINISTRAZIONE .......E ALTRI BENI DI PROPRIETA'.
ECCEZIONALE.......PENSATE CHE HA STUDIATO PER TROVARE QUESTO FENOMENO ECONOMICO.......ANZI QUASI QUASI UNA DECORAZIONE AL MERITO NON GLIELA LEVA NESSUNO.........IN EFFETTI ESSERE AMMALATI PER QUALCUNO...........SIGNIFICA AZIENDA E LE AZIENDE A CASA MIA DEVONO PRODURRE.
NON POSSO DIRE DI PRECISO A QUANTO AMMONTA IL SUO COMPENSO MA CON DELLE TESTE COSI' IL PREZZO LIEVITA SEMPRE.
OGGI APPRENDIAMO CHE MONTI E IL SUO GRAN GOVERNO DI PROFESSORI HA DECISO DI VENDERE IL PATRIMONIO DELLO STATO. CASE TERRENI AZIENDE...........TUTTO PER SALVARE QUESTO PAESE ALLA DERIVA.
PERO' C'E' UN PROBLEMA............SULLA SPESA MILITARE E SULLA SPESA POLITICA.........
IL GOVERNO RIMANE IN SILENZIO.....SORVOLA.........MONTI NON DEVE INTACCARE NESSUN PARTITO CHE LO SOSTIENE.........UN DOLCETTO AD UNO UN DOLCETTO ALL'ALTRO......IL METODO INFAME RIMANE SEMPRE LO STESSO.
CERTO I GOVERNI POSSONO FARE QUALSIASI COSA QUANDO PERCEPISCONO CHE ALL'ESTERNO IL POPOLO NON SI ORGANIZZA.......SAREBBE DIVERSO SE IL CLIMA E LA TENSIONE SI FACESSE SENTIRE......MA QUALCHE SPORADICA MANIFESTAZIONE.......
QUALCHE PICCOLO SCIOPERO NON CREDO POSSA METTERE IN DIFFICOLTA' QUESTA ORGANIZZAZIONE DI PROFESSORI ABILITATI DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA A SALVARE IL PAESE...........IL MONITO DEL PRESIDENTE RIMANE QUELLO CHE IL POPULISMO NON SERVE.......LUI VECCHIO FUNZIONARIO DEL PCI CHE OGGI RINNEGA IL COMUNISMO RACCONTANDOCI DEGLI ERRORI DI QUESTA IDEOLOGIA......
COSA CHE FECE PERSONALMENTE ENRICO BERLINGUER QUANDO AL CONGRESSO DEI SOVIET DISSE DAL PALCO CHE IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO SI DISSOCIAVA DA QUALSIASI FORMA DI TOTALITARISMO. 
DUNQUE ORA MONTI VENDE IL PATRIMONIO........E LE CASSE SARANNO GONFIE.........
CONSIDERANDO CHE I 2000 MILIARDI DI EURO DI DEBITO CI INDUCONO A QUESTO DIFFICILISSIMO STRATAGEMMA ECONOMICO.
QUESTA MANOVRA CONSERVATRICE...........SI PERCHE' QUESTO GOVERNO HA MOLTISSIMA GENTE DI DESTRA O DI FINTI MODERATI..........SCELLERATA AL PUNTO GIUSTO TACE SU MOLTE COSE.........SENZA CORAGGIO DI DIRE BASTA ALL'EVASIONE FISCALE BASTA SOLDI AD UN ESERCITO CHE NON SERVE PIU'.
MONTI, E IL DIRETTORE GENERALE DELL'AZIENDA SANITARIA VENEZIANA, SONO IDENTICI....COMPAGNI.......PRECISI.......SOLO SEMPLICI BOTTEGAI.
IL PAESE SI SALVA SOLO CON IL CORAGGIO ALTRO NON SERVE A NESSUNO


                                                                                                                          MAX

mercoledì 13 giugno 2012

.........GOVERNARE PER SERVIRE IL POPOLO


Roma, bagno di folla per Evo Morales. “Governare è servire il popolo” 

Davanti a un pubblico di attivisti sociali e sindacali e a rappresentanti dei movimenti, il Presidente della Bolivia ha ricordato le tappe di un processo rivoluzionario che sta portando gli indigeni, i contadini e gli operai boliviani dall'esclusione totale al potere. 

“El pueblo unido jamas serà vencido” e “Evo, Evo”. Con questi slogan ieri pomeriggio centinaia di persone hanno accolto il Presidente Morales nel centro congressi di Via Nazionale. Una visita lampo, quella del leader boliviano, che ha permesso ai rappresentanti di tante realtà sociali e politiche della capitale di ascoltare il punto sulla rivoluzione che in pochi anni ha cambiato il volto di alcuni paesi del Sud America e dell’interno continente latinoamericano.
Ad introdurre l’intervento dell’ex leader cocalero ci ha pensato Luciano Vasapollo, docente universitario e dirigente della Rete dei Comunisti. “Qui oggi ci sono centinaia di persone, di compagni e di compagne che lottano ogni giorno per dare un futuro e una speranza ai nostri popoli” ha detto Vasapollo affermando che così come hanno fatto i regime democratici e progressisti insediati negli ultimi anni in Bolivia, Ecuador, Venezuela, Argentina, il compito dei movimenti di lotta anche in Europa deve essere quello di impedire che il pagamento del debito rimanga il dogma dominante della politica e dell’economia, e che le risorse pubbliche vadano a coprire e a rilanciare la spesa sociale e il lavoro. “Dobbiamo fare anche noi la nostra Alba – ha detto il docente universitario – perché questa Unione Europea è contro i popoli e contro i lavoratori”. Dopo aver, tra gli applausi, condannato la detenzione dei cinque agenti cubani nelle carceri degli Stati Uniti, Vasapollo ha ceduto la parola a un Evo Morales che ha voluto ripercorrere le tappe più importanti della sua personale avventura e di quella del popolo boliviano.
“Quando nel 1992 decidemmo di passare dalla resistenza alla presa del potere non avremmo mai pensato di arrivare tanto lontano. A quell’epoca nessuno tra di noi voleva candidarsi, la politica era considerata una cosa sporca, da cui tenersi alla larga”.
“Per secoli, e ancora pochi anni fa, gli indigeni erano esclusi dalla politica, dalla partecipazione democratica – ha ricordato il leader rivoluzionario – Quando provavamo a fare delle proposte su alcuni temi l’oligarchia ci rispondeva che la nostra politica erano la zappa e il machete, che dovevamo limitarci e lavorare e restare al posto nostro”. Poi l’inizio di un processo politico che nel giro di pochissimo tempo avrebbe portato i movimenti indigeni, i minatori, gli operai e le classi fino ad allora sfruttate al potere e un indigeno alla Presidenza di uno Stato rifondato. “Mi hanno definito assassino, cocalero, narcotrafficante, addirittura il ‘Bin Laden delle Ande’ – ricorda sorridendo Morales – ma passo dopo passo siamo stati capaci di costruire un movimento politico con un programma di governo e nonostante le ingerenze statunitensi e gli ostacoli e le menzogne dei media locali siamo riusciti a ottenere l’obiettivo”. Un risultato, quello raggiunto dai movimenti popolari boliviani, che ha dell’incredibile se si pensa al punto di partenza, negli anni ’90. Dall’esclusione razziale e di classe dal potere e dalla partecipazione della maggioranza della popolazione alle scelte di governo, a un paese che è stato completamente rifondato su nuove basi egualitarie, di giustizia sociale, e con un’ampia rappresentazione di tutte le etnie. Ricorda i due assi dell’azione del Mas – il Movimento al Socialismo – e dei suoi alleati di sinistra Morales: il varo di una nuova costituzione democratica basata sulla democrazia partecipativa e non più fintamente rappresentativa da una parte, la nazionalizzazione delle risorse naturali del paese fino a quel momento in mano a multinazionali straniere. “Abbiamo espropriato anche una compagnia telefonica italiana” ricorda malizioso il Presidente tra gli applausi e le risate della sala. “Quando viaggiai la prima volta in Europa, nel 1989, non potevo credere che in ogni casa ci fosse un telefono. In Bolivia, dove sono nato e cresciuto, il telefono in casa sembrava un miraggio ma oggi abbiamo cablato tutti i municipi del paese” afferma soddisfatto dopo aver ricordato le tappe principali della ‘rivoluzione democratica”: la battaglia dell’acqua e quella del gas, la vittoria elettorale del 2006, la marcia di un milione di persone e poi la vittoria nel referendum per la nuova costituzione, le nazionalizzazioni del 1 maggio del 2006, la vittoria schiacciante nel referendum di revoca del 2007, i programmi sociali che in tempi record hanno ridotto l’analfabetismo e quasi azzerato l’abbandono scolastico, le infrastrutture. E poi l’affondamento della piano di integrazione colonialista promosso dagli Stati Uniti – l’Alca – e la promozione di una alleanza continentale basata sulla giustizia e le relazioni di reciprocità: l’Alba.
“Solo 60 anni fa l’Onu si è accorta che gli essere umani hanno dei diritti, ora è venuto il momento di riconoscere i diritti anche alla Madre Terra” afferma solenne Morales. “Occorre coniugare sviluppo sociale ed economico con la difesa della natura” ribadisce, criticando una lettura della difesa dell’ambiente di ostacolo allo sviluppo e al progresso che spesso viene agitata strumentalmente, denuncia il Presidente, da quei paesi colonialisti e imperialisti che poi neanche firmano il Protocollo di Kioto.
Non sono mancati, ricorda Morales, i tentativi da parte degli Stati Uniti e delle oligarchie locali di bloccare il processo rivoluzionario e di rovesciare il governo: i tentati golpe in Bolivia, e poi quelli falliti anche in Venezuela e in Ecuador. E purtroppo quello riuscito in Honduras. “Per questo noi diciamo che vinciamo sugli USA con un punteggio di 3 a 1” sdrammatizza il Presidente. “Dico spesso che gli Stati Uniti sono l’unico paese del continente in cui non ci sia stato un colpo di stato. E sapete perché? Perché è l’unico paese del continente in cui non c’è un ambasciatore degli Stati Uniti” scherza, provocando l’ilarità dell’attento pubblico.

E poi una chiusura molto apprezzata dagli attivisti – movimenti per il diritto all’abitare, sindacati di base e conflittuali, partiti e organizzazioni politiche della sinistra, comunità di vari paese del Sud America, collettivi antifascisti e studenteschi, rappresentanti delle diplomazie latinoamericane in Italia – che si assiepavano nelle due sale del centro congressi di Via Napoli. “Quando sono diventato presidente ho ridotto il mio compenso da 40 mila a 15 mila bolivianos, e così ho fatto per ministri e alti funzionari. Essere autorità, governare vuol dire servire il popolo, non cercare di arricchirsi a spese del popolo. Governare vuol dire sacrificarsi e impegnarsi per il bene comune” ha concluso il Presidente della Bolivia tra gli applausi, mandando un sincero messaggio di solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia Romagna.
Quant adoro questo modo di voler governare socialisticamente..........


                                                                                         Max

domenica 10 giugno 2012

DEDICATA AL MIO UNICO SEGRETARIO..........





L’11 giugno di 28 anni fa moriva a Padova Enrico Berlinguer. Il suo tratto umano, la sua passione politica, il suo impegno rigoroso sono ancora nel cuore di tanti italiani. Anche di giovani che lo hanno conosciuto solo attraverso letture e racconti. Anche di cittadini delusi che oggi guardano 
alla politica con distacco e sfiducia.
Il mondo, l’Italia sono profondamente cambiati da allora. Ma le idee di Berlinguer e la sua eredità conservano un grande valore. Politico, non 
solo etico. È vero che Berlinguer era comunista e che, entro quell’orizzonte ideale ha combattuto la battaglia della vita prima della caduta del Muro, 
ma era un comunista italiano. E di questa storia originale, di questa 
cultura fondativa della nostra vicenda costituzionale, di questo affluente
 che ha innervato e contribuito ad ampliare il circuito democratico del 
Paese, Berlinguer ha espresso le punte più avanzate. Ne è stato un traino. Ha raccolto un testimone e lo ha portato avanti, molto avanti.
La memoria, la storia sono parti costitutive della politica. Non sono mai separate dalla battaglia dell’oggi. Le stesse idee di rinnovamento, proprio perché propongono e preparano un cambiamento, non possono non contenere una lettura della storia. Altrimenti cosa vorrebbe dire innovare? Cancellare il passato e far finta che il mondo possa ricominciare da zero? Questa semplificazione «nuovista», purtroppo, è stata più volte riproposta nella cosiddetta seconda Repubblica. L’oblio della storia, il taglio delle 

radici costituzionali, la condanna implicita dei partiti popolari sono stati indicati come la catarsi necessaria per approdare nella modernità. Il nuovismo è diventato parte dell’ideologia di questi anni. E in questo penoso epilogo di seconda Repubblica si torna alla carica.
Non a caso la polemica tra gli storici si sta facendo più intensa. Non a caso tanta attenzione viene oggi riservata ad Antonio Gramsci (l’autore italiano più letto nel mondo dopo Dante Alighieri): si vuole separare Gramsci dal nucleo originario e vitale del comunismo italiano e far apparire Palmiro Togliatti come un passivo esecutore dei diktat staliniani, in questo modo togliendo al Pci la caratura e la dignità di soggetto promotore della ricostruzione democratica, e soprattutto tagliando ogni radice che possa arrivare fino a noi. Per fortuna Giuseppe Vacca ha da poco dato alle stampe un bellissimo libro su Gramsci, che contiene importanti risposte con le quali l’intera comunità scientifica dovrà confrontarsi.
Ma a ben guardare anche la memoria di Aldo Moro continua ad essere sottoposta a un trattamento spietato: la polemica sulla prigionia e sulla trattativa ha quasi oscurato agli occhi dei contemporanei la lezione politica 

e civile dello statista, che più di ogni altro ha guidato l’allargamento delle basi democratiche e incarnato la peculiarità del cattolicesimo politico italiano. In questo caso le mode nuoviste si sono mescolate con un’indulgenza culturale delle nostre élite verso i terroristi, come ha coraggiosamente scritto Miguel Gotor.
Berlinguer, è vero, è stato in parte risparmiato da tanto aggressivo revisionismo. Era comunista, tuttavia era troppo dentro la modernità per poter subire un trattamento come quello di Togliatti o di Moro. Si è cercato però di depotenziare il suo messaggio, estraendo solo la 

«questione morale» e cercando di piegarla ad una invettiva contro i partiti. Quasi che lui, comunista, fosse un precursore dell’antipolitica. Berlinguer invece va riletto per intero. È un segno di rispetto, ma è anche il modo per ricevere di più dalla sua testimonianza. Il Berlinguer dell’austerità come 
leva di un nuovo sviluppo. Il Berlinguer della democrazia come valore universale (discorso pronunciato a Mosca, nel 60esimo della Rivoluzione d’ottobre). Il Berlinguer della laicità e del dialogo con i cattolici nella l
ettera a monsignor Bettazzi. Il Berlinguer del compromesso storico. Il Berlinguer del movimento di liberazione delle donne. Il Berlinguer dei nuovi bisogni e dell’emergenza ecologica. Il Berlinguer della diversità.
La questione morale fu la grande intuizione e il grande assillo degli ultimi anni della sua vita. Il blocco del sistema politico, seguito alla fine tragica della solidarietà nazionale, aveva iniziato a produrre quei fenomeni corrosivi che avrebbero poi portato al collasso della prima Repubblica. Berlinguer li comprese in anticipo. Ma la sua fu sempre, innanzitutto, una denuncia politica finalizzata a produrre un cambiamento reale. Del resto, il blocco del sistema era stato la risposta al progetto nel quale lui e Moro, muovendo da sponde diverse, avevano creduto.
Ricordare Berlinguer oggi non è, dunque, solo un atto di omaggio che ci consente di alzare la testa dall’affanno quotidiano. È parte della battaglia politica per il centrosinistra di domani. Perché la polemica sulla storia riguarda anzitutto il Pd, la sua natura, la sua identità. Il Pd è davanti a un bivio: cedere ad un nuovismo senza radici oppure progettare il futuro sentendosi parte viva della migliore storia nazionale. Rassegnarsi ad una società di individui, senza autonomia dei corpi intermedi e senza vere battaglie sociali, oppure essere ancora il «partito della Costituzione» e del cambiamento. Quella sera c'ero a Padova, caro il mio segretario, da allora 

il vuoto più assoluto.

                                                                  Max

                                                                                                                                    

venerdì 8 giugno 2012

CARO GRILLO QUESTA VOLTA.......LA VERITA' !!!!


Anonymous attacca il sito di Grillo: “Populista, libera il tuo movimento”

Blitz nel pomeriggio: "Durerà fino a stasera". Gli hacker accusano il leader del Movimento Cinque Stelle: "L'accesso alle tue liste sia proibito agli stranieri e sei un populista che cerca di raccogliere consensi senza arte né parte. E hai eseguito più volte il saluto romano"

anonymous beppe grillo interna nuova
Anonymous ha attaccato nel pomeriggio il sito di Beppe Grillo. Questo, almeno, si legge su quello che si definisce il “blog ufficiale di Anonymous Italia”. L’attacco durerà fino a “stasera”, scrivono gli hacker, non specificando l’ora. Motivando anche il loro blitz su www.beppegrillo.it: “Anonymous oggi ha deciso di regalarti un po’ della sua attenzione. Il semplice fatto che l’accesso alle tue liste sia proibito agli stranieri, che tu sia un populista che cerca di raccogliere consensi senza arte né parte e che per più volte (come da foto) ha magistralmente eseguito il saluto romano al tuo seguito e ai media, sostenendo la politica di repressione fascista, basterebbe per giustificare il perché di tanto accanimento. Sfortunatamente altri motivi ci spingono a schierarci contro di te (e sia chiaro, non contro i poveri ignari che credono a tutto ciò che dici prendendolo per oro colato, ergo il tuo movimento)”.
“Il fatto che sostieni la medicina alternativa, chiamata “nuova medicina” dai presunti medici che la praticano, e approvi iniezioni di bicarbonato di sodio in perfusione endovenosa per liberare il corpo dai ‘funghi che provocano il cancro’ ha creato taciti consensi che han causato persino morti – sostengono gli Anonymous – Tralasciamo inoltre la devastazione della barriera corallina indotta dalla miseria che è la tua barca e i tuoi inutili tentativi di riparare al danno proponendone la ricostruzione (come se l’equilibrio ambientale fosse rimpiazzabile)”.
L’ultimo “capo d’accusa”, infine: “Il caso più deplorevole riteniamo che tu lo abbia raggiunto con la scomparsa del microscopio elettronico (per cui hai contribuito nella raccolta fondi ai tuoi comizi) che serviva ai ricercatori per dimostrare che il plasma utilizzato negli inceneritori di ultima generazione è peggiore ai metodi precedenti, poiché in grado di produrre nanoparticelle che, per via aerobica quanto per contatto penetrando dall’epidermide, ricerche da prima che hai sostenuto quali veritiere, ma che poi hai tacciato non solo di esser state copiate, ma persino di essere sbagliate, sottraendo il microscopio che (preventivamente) avevi fatto intestare ad una Onlus ai ricercatori, impedendo così il loro lavoro”.
Gli hacker arrivano poi al messaggio principale: “Ci chiediamo, in verità, perché non liberi il movimento dal tuo nome”. E ancora: “Ti ringraziamo per aver fatto tremare la politica italiana (seppur blandamente), ma da bravo cittadino, con la massima deferenza, dovresti dare le chiavi del tuo movimento a chi porta avanti la causa, cioè al cittadino stesso, evitando di speculare e lucrare ancora sui tuoi spettacoli che di candido non hanno nulla ma sono sordidi di ipocrisia e menzogne”.
Qualcosa ci devi dire questa volta.............


                                                               Max

giovedì 7 giugno 2012

UNA COSA E' CERTA.....ANTIFASCISTI SEMPRE !!!!!


Roma antifascista saluta Carla. E chiede giustizia 















Rabbia e dolore, centinaia di persone ai funerali di Carla Verbano, scomparsa martedì dopo 32 anni di instancabile battaglia per la verità. E morta senza sapere i nomi di chi nel 1980 uccise Valerio, suo figlio, nel loro appartamento al Tufello.
Al consueto “Valerio è vivo e lotta insieme a noi” che ogni anno il 22 di febbraio risuona nelle vie del quartiere dove il giovane viveva e fu assassinato, oggi centinaia di persone hanno affiancato il nuovo “Carla è viva e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai”. Un serpentone di manifestanti in lacrime ma con i pugni chiusi ha percorso a fine mattinata viale Jonio e via Capraia per poi concludersi con un ultimo applauso in via di Monte Bianco. Laddove c’è la lapide che ricorda il diciannovenne assassinato da un commando dei Nar nel 1980. E lì dove la madre Carla ha continuato a vivere, a soffrire e a lottare affinché venisse fatta luce su quel tremendo omicidio politico avvenuto sotto i suoi occhi e sotto quelli del suo compagno Sardo, scomparso alcuni anni fa, tenuti in ostaggio nel loro appartamento dagli assassini finché il giovane non rientrò a casa e venne freddato a colpi di pistola. Trentadue anni di misteri, di depistaggi, di prove scomparse, di bugie che si sono conclusi improvvisamente martedì pomeriggio, quando in un ospedale della capitale si è spenta l’ottantottenne ‘mamma coraggio’.
E oggi i suoi figli, i suoi nipoti – politicamente e umanamente parlando – gli hanno voluto tributare l’ultimo saluto all’interno dei locali della Palestra Popolare che in Via delle Isole Curzolane, nella sua Tufello. Quella che quando fu messa su da una serie di attivisti decise di portare il nome di Valerio. In nome dell’antifascismo militante ma anche di quella battaglia di verità che ha avuto in questi decenni proprio Carla come protagonista. Tranne qualche volto della sinistra capitolina, non c'erano rappresentanti delle istituzioni, nè locali nè nazionali, ed è stato meglio così. Ieri vari messaggi mandati da chi in questi anni le era stato vicino avvertivano che non sarebbero state ammesse provocazioni da parte di chi oggi governa Roma - o la Regione - senza aver mai rinnegato il fascismo e in questi giorni si era riempito la bocca di messaggi di cordoglio.
Tenace ma amorevole. Così l’hanno ricordata e descritta tra le lacrime e la commozione tanti compagni e compagne questa mattina. Al centro della palestra la bara, una enorme corona di fiori rossi, e sul muro un enorme ritratto di Valerio Verbano. E poi le bandiere rosse listate a lutto, e tanti manifesti con il volto di Carla anche tutt’intorno, nelle strade del suo quartiere. Al microfono si sono alternati in tanti a salutare Carla, alcuni ricostruendone l’incessante opera di ricerca della verità, altri così emozionati da non riuscire a mettere le parole in fila. Centinaia di persone che ascoltavano in silenzio, applaudendo i passaggi più significativi del ‘ricordo collettivo’ o cantando slogan. Sono arrivati in tanti, da tutta la città, per salutarla nonostante l’orario e il giorno lavorativo, anche delegazioni del movimento No Tav, dei movimenti popolari della Campania contro gli inceneritori e le discariche, i comitati per l’acqua e per i beni comuni.
Oggi è stato il giorno del dolore. Dolore per la scomparsa di una donna simbolo, di una esistenza votata alla ricerca tenace e instancabile della verità dopo che il lutto impunito aveva trasformato quella mamma in una militante politica e in un baluardo della memoria.
Dolore e rabbia per la scomparsa di una donna che non è comunque riuscita ad ottenere la verità sulla morte di suo figlio. Nonostante 32 anni di battaglie, di denunce, di appelli, e anche di depistaggi, di inganni, di umiliazioni e di strumentalizzazioni politiche.
Le ha richiamate esplicitamente Marco Capoccetti Boccia (autore di un libro sull’omicidio di Valerio) nel suo commosso intervento. “La sua fine Carla voleva fosse folgorante. Ma non lo è stata. Il desiderio che l’ha mantenuta in vita per tanti anni, insieme all’affetto dei compagni, sapere il nome degli assassini di suo figlio, l’ha fatta sopravvivere alle malattie e alle umiliazioni. Ma oltre alla verità storica e politica su quanto accadde 32 anni fa non c’è l'altra verità, quella giudiziaria. Provo dolore ma anche rabbia – ha detto Capoccetti Boccia – per chi negli ultimi anni le prometteva quei nomi sapendo che non avrebbe potuto o voluto darglieli”.
Al microfono si alternano compagni noti e meno noti, di tutte le età. Tutti ricordano Carla per la sua determinazione e per l'amore concesso a chi la accompagnava, aiutava e andava a trovare nel suo appartamento. E anche per i generosi e appassionati rimproveri ai compagni "scapestrati". Era stata lei, dopo tanti anni di quasi oblio per la vicenda del figlio, a riportare la battaglia per la verità e la giustizia di nuovo all’ordine del giorno, con il blog dedicato a Valerio e poi ancora con il suo attivissimo profilo Facebook. Spesso la trovavi collegata Carla a rispondere ai messaggi, a rintuzzare bugie e strumentalizzazioni della stampa, a condividere notizie e una parola d’affetto per le migliaia di persone che la seguivano online.
Ora Carla non c’è più, lasciando un vuoto umano e politico incolmabile. Ma chi stamattina non è voluto mancare per dargli l’estremo saluto è il caso che raccolga il testimone di una battaglia di giustizia e verità che non si è di certo conclusa. 
Una cosa è certa.............."ANTIFASCISTI SEMPRE"


                                                                            Max