Riflessioni su stupri e violenza sessuale.
La violenza, gli stupri che colpiscono le donne, le ragazze, l’orrore che non risparmia neppure le bambine, ci offrono il menu variopinto cucinato nel tempo e nella terra che ci ospita, chiamato società. Di cosa stiamo parlando? Di quel ribrezzo che proviamo quando la cruda realtà ci rivela che la nostra ragione è arrivata in fondo al tunnel e che non si scorge via di uscita. Di quella umanità violata da uomini e da ragazzi che possono, che sanno, che hanno imparato a considerare la donna, la bambina, carta straccia da gettare nella spazzatura o nelle mani degli accaniti dei social, che proprio non ce la fanno, poverini, a resistere, a non partecipare alla festa collettiva dei nascenti mostri. Di quei poveretti davvero, capaci di tutto che non possono fare a meno di contribuire al gioco perverso del massacro delle vittime, sarebbe urgente occuparsi.
Di cosa stiamo parlando? Dei condizionamenti informatici che hanno sostituito il tempo della parola, del dialogo e del confronto? Dei social che hanno rimpiazzato gli amici e le persone di cui ci si può fidare? Il danno è totale e non può che richiamare alle nostre responsabilità. Si sa, se la colpa è di tutti, è soprattutto di nessuno. Non è dei genitori, che mettono in mano il cellulare ai bambini in carrozzella, non è di mamma e papà che raccomandano, si fa per dire, di non stare troppo con gli occhi sullo smartphone, mentre loro ne sono catturati giorno e notte. Ciò che si vede e si assorbe è di gran lunga più convincente e assimilabile di ciò che si ascolta.
Stiamo parlando di questa civiltà, si fa per dire, che non sa che fare, come contribuire a far sì che i ragazzi e le ragazze comprendano quanto sta succedendo, che vengano aiutati a ripensare ai loro comportamenti, a non smarrire la loro umanità. È davvero un dramma constatare che, pur con tutte le eccezioni, che chi dovrebbe educare, non è più in grado di farlo, perché invaso e travolto da una valanga virtuale che confonde il vero con il falso, i lupi con le pecore, la vita e la morte, le cose al posto delle parole.
Eppure quei ragazzi capaci di tutto, di parole ne avrebbero bisogno. Di parole giuste, come medicamento, pronunciate da adulti consapevoli che abbiano mantenuto la capacità critica e affettiva di sapersi rivolgere ai figli, agli alunni, agli studenti, agli amici, per incutere in loro il sentimento della fiducia e della possibilità di ripensare e ripensarsi.
Molto si è detto e letto in queste giornate sugli effetti del vivere in periferie degradate, ma le violenze, gli stupri, non si consumano solo in quelle zone, ma ovunque e soprattutto nell’ambito familiare. Per arginare quello che oramai è diventato l’incubo di una stridente e preoccupante realtà quotidiana, proviamo a capire cosa dice la giurisprudenza.
Lo
stupro è un crimine contro la persona, che viene coartata nella sua
libertà sessuale, e non contro la morale pubblica . La sua
disciplina è contenuta dall’articolo 609 bis del Codice Penale,
che prevede una pena detentiva da 6 a 12 anni . Il reato di
stupro si articola in due fattispecie principali: la violenza
sessuale per costrizione della vittima; la violenza sessuale per
induzione, cioè approfittando dell’inferiorità fisica o psichica
della persona offesa .
Per presentare querela, la vittima ha
a disposizione sei mesi dalla data del reato. Dunque, oltre
la scadenza dei 6 mesi, il reato non è perseguibile.
Quando una ragazza viene straziata dalla violenza, quando si pensa a stupri di gruppo, ci si interroga, ci si chiede come sia possibile che dei giovani, anche minorenni, possano trasformarsi in mostri. Che ne sarà del domani delle ragazze violate, ce la faranno a ricostruirsi una vita affettiva, a ritrovare la fiducia? Che ne sarà del domani di questi ragazzi? Sapranno pentirsi? E noi, noi che stiamo a guardare, a commentare, ad indignarci, noi adulti, chi siamo?
articolo scritto da Andreina Corso
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