Falce, martello e passione: a Venezia il doc su Ingrao
Nelle Giornate degli autori della Mostra “Non mi avete convinto”, di Filippo Vendemmiati, dedicato alla vita pubblica e privata del dirigente comunista. Che a 97 anni racconta se stesso, fra errori e utopia. “La pratica del dubbio è quello che salvo di me”
Pietro Ingrao
“COSÌ ero fatto. La politica vinceva su tutto”. Una frase sussurrata da un uomo che ha attraversato il Novecento, e che dice molto di questo 97enne capace di infiammare ancora i ragazzi di oggi parlando e agendo in nome della pace e dell'utopia. E' Pietro Ingrao, la cui vicenda politica e privata viene ripercorsa da “Non mi avete convinto”, il documentario di Filippo Vendemmiati ospite delle Giornate degli Autori a Venezia.
Nel corso di una lunga intervista registrata in più tempi, nei primi sei mesi del 2012, Ingrao racconta la sua storia, un filo di voce per un racconto lucido che attraversa in filigrana la storia d'Italia e della sinistra. Nato e cresciuto a Lenola, in provincia di Latina, nel Partito Comunista Italiano dal 1940, la Resistenza e poi gli anni nella Direzione del PCI, deputato dal ‘48 al ‘92, e per una decina d'anni direttore dell'Unità. Dal ‘76 per tre anni Presidente della Camera, tra Pertini e Nilde Jotti, dal ‘93 in poi invece alcuni anni da indipendente in una sinistra che, dice, "oggi ha troppi partiti". C'è tutto questo nel film ma c'è anche il privato (“Laura, l'amore di una vita”), i racconti dell'infanzia di un bambino che voleva la luna, un desiderio che da grande diventerà quello di “cambiare il mondo e sconfiggere gli sfruttatori”, e poi la scoperta della politica, la clandestinità e poi la ritrovata democrazia, fino agli anni di piombo, con la drammatica seduta da Presidente della Camera il giorno del sequestro Moro.
Un percorso che Vendemmiati segue non cronologicamente ma per associazioni libere, date dalle riflessioni di Ingrao, “capisco più di cinema che di politica”, l’ammissione degli errori politici (“il mio più grande, la posizione sull'invasione dell'Ungheria”), le prese di posizione solitarie. “La pratica del dubbio è quello che salvo di me”, dice, riconoscendosi “una vena anarchica”. Un racconto che per Vendemmiati - vincitore di un David di Donatello con “E' stato morto un ragazzo”, sull'omicidio del giovane Aldovrandi - nasce da un ricordo personale, come racconta nelle note di regia: “Una frase di Ingrao sulla necessità di costruire la lingua dell'alternativa mi è rimasta impressa per metà della mia vita, finchè non ho ritrovato in un archivio quella frase ascoltata chissà dove. Era l'intervento al Congresso del PCI del 1983. Per la mia generazione - continua il regista - Ingrao ha rappresentato l'idea della politica intesa come passione e non come mestiere, la spinta utopistica alla ricerca costante di un mondo migliore. Oggi Ingrao, anzi Pietro, rappresenta ancora tutto questo”.
E il film lo dimostra, dando voce in prima persona e in primissimo piano al protagonista, e intrecciandola con i materiali ritrovati in decine di archivi privati e non. E grazie anche alle parole della sorella, Giulia Ingrao, novantenne, che riflette un diverso punto di vista sugli eventi della storia privata e pubblica del fratello. Lui, che con una punta di civetteria ammette: “Sono stato un eretico, ma i comizi ero uno che li sapeva fare. Sapevo chiedere il silenzio”.
Pietro ormai sei semplicemente un vecchietto di 97 anni, nuove generazioni non ce ne sono pertanto facciamo così tu continua leggere io mi metto vicino a te e sussurro: "avanti popolo alla riscossa bandiera rossa bandiera rossa, avanti popolo alla riscossa bandiera rossa trionferà"
Max
l'idea della politica intesa come passione e non come mestiere, la spinta utopistica alla ricerca costante di un mondo migliore... questo Pietro lascia in eredità ai giovani che vogliono raccogliere il suo testimone...Un uomo che si definisce "sono stato un eretico e... la pratica del dubbio è quello che salvo di me” è simbolo di intelligenza e grande apertura mentale...
RispondiEliminagrazie per questo post.