La disperazione è cattiva
consigliera tanti compagni che ritengono che la discesa in campo di Monti con i
moderati possa obbligare Bersani ad una virata a sinistra. Il ragionamento è il
seguente: è semplicista, e direi meccanicista, privo cioè di una analisi che non
si fermi alla superficie. Monti, con la sua presentazione al Ppe, ha
indubbiamente marcato la sua discesa nell'agone politico (e su questo non ci
sono dubbi). Lo ha fatto rivolgendosi alla componente moderata dell'arco
politico europeo, ad un partito, come il Ppe, che raccoglie l'adesione del Pdl e
dell'Udc, e quindi segnalando che il suo interlocutore politico naturale è il
centro-destra liberale (e anche su questo non ci sono dubbi). La conseguenza, a
mio avviso erronea, che tali compagni traggono dalla lettura di questi due
fatti, è che implicitamente Monti abbia accettato l'offerta di Berlusconi di
candidarsi come leader di uno schieramento moderato che includa Pdl e centro
(Udc, Fini, Rutelli), e che ciò costringerà il centrosinistra, per smarcarsi
politicamente, ad adottare uno schema programmatico più orientato a sinistra,
più socialdemocratico, magari anche grazie all'esodo di qualche cattolico
centrista, come Fioroni, in direzione dello schieramento contrapposto, attratto
dalla sirena di Monti. Tale ragionamento non ha fondamento. Intanto
Monti non accetterà mai di fare il leader di uno schieramento politico perdente:
ad oggi, Pdl e centristi sono dati, dai sondaggi, al 22% circa. Il potenziale di
trascinamento di una lista-Monti può, sempre secondo i sondaggi ed i risultati
conseguiti da Renzi alle primarie, trascinare un ulteriore 10-12% di elettorato,
evidentemente strappato alla componente elettorale moderata e centrista del PD.
In tutto, si tratta di un 32-34%, assolutamente insufficiente per vincere, e
lontanissimo da una percentuale accettabile, con circa due mesi che ci separano
dal voto. E certo è fuori questione che la Lega Nord partecipi a un simile
schieramento, come ha ripetuto chiaramente Maroni. In cambio di una sconfitta
politica certa, Monti si ritroverebbe ad entrare in Parlamento come leader
formale di una coalizione il cui principale azionista è Berlusconi, che ne
condizionerebbe l'azione, appannandone in modo letale il prestigio politico.
Sarebbe di fatto la fine, per Monti. Casini, che su queste cose la vede sempre
lunga, ha già liquidato l'offerta di Berlusconi a Monti come il prodotto di un
vaneggiamento, assicurando che Monti ha già detto di no. Inoltre il ragionamento meccanicistico di chi
pensa che la discesa in campo di Monti sposterà a sinistra il PD non tiene
minimamente conto della natura di classe e politica del PD. Tale partito,
fondato prima della grande crisi, per dare rappresentanza ad un ceto medio
culturalmente imborghesito (anche se largamente proletarizzato sotto l'aspetto
dei rapporti sociali di produzione) proponendo un patto interclassista fra
lavoro e capitale, utile per gestire una società benestante e non conflittuale,
si è trovato spiazzato dalla crisi economica, e quindi dalla potenziale
polarizzazione della società, indotta, ovviamente, dalla riconfigurazione ad "L"
della curva di distribuzione dei redditi (curva di Lorenz). Ed ha scelto di
dialogare con quella parte di piccola borghesia produttiva ancora benestante,
con la pancia impiegatizia e dei pensionati del ceto medio che ancora galleggia
(sia pur con molte più difficoltà economiche rispetto al passato) e con i
giovani, trasversalmente alle classi. Ad ognuno ha promesso una mediazione fra
rigore e protezione, che di fatto è in larga misura un inganno, nel senso che
sarà semplicemente la prosecuzione del montismo, con qualche "pezza a colori"
collocata a difesa delle situazioni sociali più marcatamente e palesemente
ingiuste (esodati, utenti più poveri del SSN, sono solo alcuni esempi; da notare
che la tutela di questi segmenti specifici non comporterà né una revisione
sostanziale della penalizzante riforma pensionistica della Fornero, né una
progressiva privatizzazione del servizio sanitario, per quelle fasce di utenza
appena al di sopra dell'indigenza) e di una promessa, fatta ai giovani, di un
mercato del lavoro futuro più dinamico e meritocratico (altra sciocchezza: non
esiste alcun legame empiricamente rilevabile fra aumento della precarietà sul
mercato del lavoro ed aumento del suo dinamismo e delle sue opportunità in forma
universalista e puramente meritocratica; è anzi vero il contrario). Naturalmente, queste poche pezze a colori non
serviranno a contrastare l'ulteriore declino del benessere medio, e l'aumento
delle ingiustizie distributive, poiché saranno concentrate su segmenti sociali
molto specifici, mentre la gran parte della società continuerà a soffrire di
impoverimento legato al proseguimento di politiche liberiste di austerità
finanziaria. Lo squadrone Renzi/Bersani mira a questo: le primarie hanno avuto,
tra l'altro, la funzione di portare in cascina al PD, tramite Renzi, elettori di
destra delusi dal populismo berlusconiano. In questo contesto, la discesa in campo di
Monti produrrà soltanto una "rincorsa" a riconquistarlo. Bersani, con la
sua intervista di ieri, in cui promette esplicitamente a Monti un ruolo politico
di primo piano per il futuro, ha già avviato tale rincorsa, che non può che
portare ancora di più a destra il PD. D'Alema ha rincarato la dose, dicendo che
la candidatura di Monti sarebbe un grave errore. Bersani non può infatti
permettersi un ritorno alle radici socialdemocratiche. Perderebbe la componente
centrista del PD, pronta in quel caso a traslocare con Casini, perderebbe quel
10-12% di voti montisti nel PD e rappresentati in larga misura da Renzi, e
quindi perderebbe le elezioni, autocondannandosi alla fine della sua carriera
politica personale. Monti è già un leader di uno
schieramento centrista, che aggreghi Casini, Montezemolo e Fini, Bersani è già
pronto a ragionarci insieme, a realizzare quindi una "grosse koalition" senza il
Pdl di Berlusconi, in modo tale da non perdere il contatto con i voti centristi
fuggiti dal PD verso il polo guidato da Monti, e ritrovarsi comunque al Governo.
L'unica condizione che pone Bersani, infatti, è che non vi sia una alleanza che
includa anche Berlusconi. Una alleanza fra polo centrista/montista, PD ed alcuni
suoi addentellati (sicuramente il PSI) in grado anche di attrarre voti in uscita
dal Pdl, grazie al carisma di Monti su elettori pdiellini in fuga dal declino di
Berlusconi, arriverebbe facilmente al 46-47%, come minimo. Magari a quel punto
la SEL potrebbe entrare in tale compagine, o magari soltanto fornirle sostegno
esterno, ed il gioco sarebbe fatto. La maggioranza sarebbe stabile, e sarebbe
una maggioranza ovviamente legata a doppio filo alla leadership di Monti, che si
troverebbe così con le mani completamente libere per proseguire nel massacro
sociale. Con la sua discesa in campo nel Ppe, Monti ha
quindi soltanto perseguito, con successo, due obiettivi: in primis, con la
kermesse comunicativa dei leader europei del Ppe stretti attorno a Monti e
freddi, se non addirittura esplicitamente polemici con Berlusconi, il Professore
ha definitivamente spiazzato il Cavaliere, offuscandolo e sostituendolo come
leader in pectore della destra italiana agli occhi del palcoscenico europeo (che
è l'unico palcoscenico che interessi realmente a Monti) ma anche agli occhi di
elettori pidiellini non più legati al carisma declinante del Cavaliere. Inoltre,
ha messo "il pepe al culo" nella dirigenza del PD, esortandola ad alzare la sua
offerta politica per mantenere il rapporto con lui. Innalzamento dell'offerta
politica che significa una sola cosa: ulteriore spostamento a destra del
centrosinistra........a sinistra comunque solo confusione, tanta confusione e con questa legge elettorale Berlusconi vincerà in Lombardia....con il proporzionale e senza premi di maggioranza, oggi come oggi il PdL perderebbe ovunque.........con questa legge invece potrà anche augurarsi di vincere.
Max
Max
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