I marxisti ratzingeriani.
Da qualche tempo è in atto una proposta di ridefinizione dei rapporti tra la sinistra e la Chiesa Cattolica, ad opera di un gruppo di intellettuali di estrazione marxista, orfani del PCI, che ha finito per configurare un fenomeno nuovo nel rapporto tra marxismo e cattolicesimo.
I maggiori sostenitori di questo orientamento sono Pietro Barcellona e Mario Tronti, ai quali è stata attribuita la qualifica di fondatori, non da soli peraltro, di una corrente di pensiero etichettata dai commentatori, mai peraltro smentiti, come “marxismo ratzingeriano”.
Tale nome sintetizza il forte collegamento palesatosi tra il pensiero di questi studiosi, che appunto ha radici nel marxismo, e la dottrina della Chiesa nella sua versione più conservatrice, espressione del Papa Emerito Giuseppe Ratzinger.
E' lecito chiedersi da dove nasca una tal vicinanza di pensiero da consentire un quasi integrale riconoscimento ed una trasposizione dei principi marxiani nell'alveo di un pensiero ultraconservatore, se non reazionario. E quali sono le sue cause e quali le conseguenze?
Il dibattito nel PCI.
Il X congresso del PCI pose una tesi significativa a detta di molti (tra i quali Pietro Ingrao, nella prefazione al libro “Cattolici e PCI” di Filippo Gentiloni) e cioè che l'aspirazione al socialismo può scaturire da una sofferta coscienza religiosa, non solo vista come esperienza del singolo, ma come un cammino, come processi collettivi, come un “vissuto” storico. Questa affermazione, che è del 1989, pone oggi per noi importanti interrogativi.
In seguito alla caduta del Partito Comunista, e con esso dei movimenti di matrice operaista che si collocavano alla sua sinistra, oggigiorno ogni militante della sinistra di classe – noi compresi – sconta, nella sua diminuita capacità d'azione, la dissoluzione dell'eredità di quel pensiero forte del Novecento che ruotava attorno alla questione del socialismo.
Questo fattore pesa ancor di più sulle spalle dei dirigenti e degli intellettuali d'area di quei tempi, i quali tendono all'auto-assoluzione affermando che fortissimo relativismo etico del postmoderno e del pensiero debole sia solo il prodotto della negoziabilità dei valori introdotta dal liberismo e del berlusconismo delle televisioni commerciali.
Sebbene non sia possibile negare tutto questo, trattandosi di elementi facilmente ravvisabili nella società odierna, tuttavia questo nucleo intellettuale li tematizza come una deriva negativa quasi conseguente ad una sorta di destino cinico e baro. E ciò, invece, non è.
In primo luogo, perché non si considera l'incapacità di quegli stessi attori (non i singoli citati in sé, quanto il gruppo di coloro i quali hanno vissuto la fase passata da un punto di visuale privilegiato) di mantenere in vita la lotta gramsciana per l'egemonia nonché un pensiero forte, capace di contrapporsi ai fenomeni citati.
In secondo luogo, è da considerarsi come, quasi in via inconscia, si siano affermate alcune culture tra le file della sinistra, ritenute secondarie quando un pensiero forte sussisteva, e che in seguito hanno assunto maggior peso, sopperendo ad un'azione politica che progressivamente derubricava la questione socialista. E' il caso dei movimenti per i diritti civili e le libertà individuali, delle nuove tendenze che riguardano la riflessione sui beni comuni, del neoumanesimo – talvolta visto in chiave individualista – come nuovo polo dello sviluppo rispetto al profitto, della lotta per l'ambiente tout court.
Queste istanze erano e sarebbero ancora comprensibili ed integrabili nel socialismo, la cui mancanza come prospettiva concreta di analisi, elaborazione ed azione per molte formazioni della sinistra ha significato la centralità delle singole vertenze, necessarie a rimanere sulla scena politica salvo poi abbandonarle passato il clamore mediatico, senza una consequenzialità di fondo nell'agire politico prospettico, ovvero senza lo sviluppo di una rinnovata teoria generale del socialismo.
Voglia di una sinistra,.......sinistra, altro che chiacchiere
Max
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