giovedì 19 aprile 2012

MORIRE PER IL LAVORO................NO!!!!





«È sempre stata onesta, non ha mai cercato compromessi, si è sempre messa in discussione, troppo, e ci ha dato sempre il massimo...o forse no, perchè, ne sono certa, se non l'avessimo uccisa, tutti, ci avrebbe dato di più». È quanto scrive in una lettera al direttore del Quotidiano della Calabria la madre di Lucia, una ragazza di 28 anni, laureata in ingegneria gestionale, che si è tolta la vita il 4 aprile scorso lanciandosi dal balcone della sua abitazione a Cosenza. «Non si può banalizzare - aggiunge - e liquidare il suo gesto come un suicidio dettato dalla depressione... Lei sì, lei sì che si è sempre impegnata fiduciosa nei nostri insegnamenti, sicura che il merito avrebbe pagato. Laureata in ingegneria gestionale, in condizioni molto difficili, con il massimo dei voti, 110/110, si è trovata a doversi accontentare di un lavoro che non era il suo, poco retribuito, si è trovata a doversi prendere cura della sua piccolina di appena due anni, affrontando tutte le difficoltà che già conosciamo noi donne...e noi donne del sud. Aveva un solo difetto: portare un cognome anonimo e credere nella meritocrazia». La madre della ragazza suicida afferma poi che «lei non poteva vivere in quest'Italia asservita, e non poteva neanche allontanarsene, voleva semplicemente vivere nella sua Calabria, dov'era amata dai suoi innumerevoli amici. È una colpa da pagare a così caro prezzo? Se è così, giovani, andate via, andate via e abbandonate questa Terra, noi non vi vogliamo...E voi, mamme, non consentite che questo mostruoso Leviatano divori i nostri figli. Lottiamo insieme a loro, nella legalità, per i loro diritti, e chiediamo a testa alta ciò che è loro dovuto». Per il Presidente del corso di studi in ingegneria gestionale dell'Università della Calabria, Luigi Filice, il suicidio di Lucia è una «grande sconfitta per quella società che la mia università deve far progredire». «Assorbito il colpo, ripreso il respiro, resta l'immenso senso di impotenza - aggiunge - ma anche la rabbia e la volontà di impegnarsi ancor di più nello svolgere un lavoro che ci concede, ogni giorno, l'immeritato privilegio di vivere spalla a spalla con le generazioni future».

PESCATORE TENTA IL SUICIDIO È salito sulla sua barca, ha preso una corda, l'ha annodata attorno all'arco e ha tentato di farla finita, ma la piccola tettoia che copre la poppa ha lasciato intravedere ad altri pescatori quello che stava accadendo, così i colleghi sono intervenuti e l'hanno salvato. È accaduto a Porto Garibaldi, sui lidi di Comacchio (Ferrara). Il pescatore - riferisce la 'Nuova Ferrarà - proprietario di un piccolo peschereccio, da mesi non riusciva più a guadagnare il necessario per mantenere la famiglia, pagare il carburante e le bollette, e si è ritrovato sommerso dai debiti. I colleghi, oltre a salvarlo, sono intervenuti anche economicamente, riuscendo a mettere assieme diecimila euro per permettergli di pagare i debiti più urgenti.

UNA VITTIMA AL GIORNO 
Quello dei suicidi al tempo della crisi è un tema entrato ormai di prepotenza nelle cronache quotidiane nel nostro Paese. Ormai da tempo. Infatti, chiarisce il Secondo Rapporto dell'Eures, soltanto nel 2010 sono stati 362 i suicidi dei disoccupati, superando ulteriormente i 357 casi registrati nel 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 accertati in media nel triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), a riprova della correlazione tra rischio suicidario e integrazione nel tessuto sociale. Tra i disoccupati, informa lo studio, la crescita riguarda principalmente coloro che hanno perduto il lavoro (272 suicidi nel 2009 e 288 nel 2010, a fronte dei circa 200 degli anni precedenti), mentre meno marcato appare l'incremento tra quanti sono alla ricerca della prima occupazione (85 vittime nel 2009 e 74 nel 2010, a fronte delle 67 in media nel triennio precedente). La crescita dei suicidi dei disoccupati tra il 2008 e il 2010 si attesta complessivamente al 39,2% del totale, salendo al 44,7% tra quanti hanno perduto il lavoro. Considerando la sola componente maschile, l'aumento dei suicidi dei senza lavoro appare ancora più preoccupante (da 213 casi nel 2008 a 303 nel 2009 a 310 nel 2010), attestandosi a +45,5% tra il 2008 e il 2010, confermando così la centralità della variabile occupazionale nella definizione dell'identità e del ruolo sociale degli uomini, messo in crisi dalla pressione psicologica derivante dall'impossibilità di provvedere e partecipare al soddisfacimento dei bisogni materiali della famiglia

NE 2010 UNA VITTIMA AL GIORNO TRA GLI IMPRENDITORI 
La gelata economica ha i suoi effetti negativi non solo sul lavoro subordinato e sui 'senza lavorò ma anche anche nella sfera del lavoro autonomo, inducendo al suicidio anche molti artigiani, commercianti o comunque imprenditori 'autonomì: secondo l'Eures nel 2010 questi sarebbero stati ben 336, contro i 343 del 2009. Lo studio definisce infatti «molto alto il rischio suicidario» in questa componente della forza lavoro direttamente esposta all'impatto della crisi. In dettaglio, nel 2010 si sono contate 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino «indici di mascolinità superiori a quello già elevato rilevato in termini generali». Secondo lo studio però i rischi di suicidio nei momenti di difficoltà economica sarebbero più alti tra disoccupati e imprenditori, meno invece tra i dipendenti. Infatti, considerando l'indice di rischio specifico (suicidi per 100 mila abitanti della medesima condizione) sono i disoccupati a presentare l'indice più alto (17,2), seguiti con scarti significativi dagli imprenditori e liberi professionisti (10 suicidi ogni 100 mila imprenditori e liberi professionisti), colpiti dalle fluttuazioni del mercato e, come noto, dai ritardi nei pagamenti per i beni e servizi venduti (in primo luogo da parte della Pubblica Amministrazione) e dalla conseguente difficoltà di accesso al credito. Seguono i lavoratori in proprio (5,5) e chiudono la graduatoria del rischio i «più tutelati» lavoratori dipendenti (4,5). Soltanto di poco più alto, infine, l'indice di rischio suicidario degli inattivi (pensionati, casalinghe, studenti, eccetera). Lo spettro della povertà è anche alla base di numerosi atti estremi da parte di separati e divorziati, ambito che sarebbe a rischio suicidio 15 volte oltre la media soprattutto tra gli uomini. Non a caso, rileva l'Eures, nel 2010 si sono contati 33,8 suicidi ogni 100 mila abitanti separati o divorziati (66,7 tra gli uomini a fronte di 11,8 tra le donne). Assai distanziati i casi di suicidio che hanno riguardato i vedovi (8,6 casi ogni 100 mila abitanti, che sale a 35,5 tra gli uomini a fronte di 3,6 tra le donne) e, con ampio scarto, dai coniugati (4,2) e da celibi e nubili.

Morire così proprio non ci sto......la vita va vissuta lottare per un lavoro lo stesso, qualcuno dovrà raccontarci qualcosa di sobrio.


                                                                                                               Max 

2 commenti:

  1. Hai ragione nel dire che la cosa peggiore sia il nostro silenzio, ma senza volere giustificare nulla, il silenzio di un operaio che fatica ad arrivare a fine mese...lo posso capire, ma il silenzio di chi prende oltre 15.000 Euro al mese e dice di rappresentarci...quello mi fa imbestialire!!!

    RispondiElimina