Ci volevano le retate perché le alte cariche dello Stato scoprissero lo scandalo
dei “rimborsi elettorali”. Ma ora che persino Napolitano, Fini e Schifani,
parlamentari rispettivamente dal 1953, dal 1983 e dal 1996, se ne sono accorti,
tutti danno per certo che la legge verrà cambiata.
La
qual cosa è considerata, di per sé, positiva. Ma non è affatto detto che sia
così. Infatti Alfano, Bersani e Casini non contestano né il principio dei
“rimborsi” nè il quantum, che nessuno vuole ridurre: vogliono soltanto creare un
ente che ne controlli la gestione una volta incassati. La Corte dei Conti è lì
apposta, ma lorsignori preferiscono un’”Authority indipendente”, ciò dipendente
da loro come le altre. Insomma una legge-truffa che non cambia nulla se non la
facciata. Invece bisogna cancellare sia il principio sia il
quantum dei rimborsi, azzerando tutto e tornando allo spirito del referendum del
1993: nessun trasferimento automatico di denaro dallo Stato ai partiti. E,
siccome l’attuale Parlamento non azzera un bel nulla, non resta che il
referendum Di Pietro, per cancellare i rimborsi e creare un sistema tutto
nuovo.
Conosciamo l’obiezione: “così farebbero politica solo i ricchi”.
Ma non regge: i ricchi partono favoriti solo se ciascun partito può spendere ciò
che vuole. Se invece si fissa un tetto massimo per le spese elettorali, tutti
combattono ad armi pari. Nel ‘ 93, subito dopo il referendum
che abolì il finanziamento pubblico, il governo Amato lo ripristinò sotto le
mentite spoglie di rimborso elettorale, pur modestissimo. Infatti per le
elezioni nazionali ed europee del 1994 i partiti ricevettero appena 70 milioni e
per quelle (solo nazionali) del 1996 ancora meno: 46,9. Il che significa che
possono cavarsela egregiamente con 50 milioni per ogni elezione su scala
nazionale. Invece, grazie alla legge del 1999 che prelevava 4 mila lire a ogni
iscritto alle liste elettorali, i rimborsi si allontanarono anni luce dalle
spese effettive. E la legge del 2006 raddoppiò lo scandalo: rimborso pieno anche
per le legislature monche.
Per le politiche 2008, le europee 1999 e le
amministrative varie, i partiti hanno dichiarato spese per 100 milioni, ma nel
2013 a fine legislatura ne avranno incassati 503 in cinque anni. Totale negli
ultimi 17 anni: 2,3 miliardi erogati contro 579 milioni documentati. Partiamo da
questi 579: diviso 17 anni fanno 34 all’anno, contro una media di 135 incassati.
Dunque, secondo quel che essi stessi dichiarano, i partiti devono coprire spese
per una trentina di milioni l’anno. Con un corso accelerato
presso il Movimento 5 Stelle, presente in consigli comunali, provinciali e
regionali senza un soldo pubblico, si può scendere ancora di parecchio. Ma
facciamo finta che ai partiti servano 30 milioni l’anno: come raccoglierli, nel
rispetto della volontà degli italiani, più che mai contrari ai trasferimenti
pubblici? Sistema misto: in parte donazioni da privati (purchè dichiarate sopra
i 5 mila euro e non anonime fino a 50 mila come da legge-golpe 2006); in parte
contributi pubblici, ma volontari. Come? Ripristinando la legge Prodi del 1997,
che consentiva di devolvere il 4 per mille dei redditi Irpef.
Ma con una
decisiva differenza: allora i soldi finivano in un unico calderone che poi i
partiti si dividevano in base al peso elettorale (infatti non li versò quasi
nessuno); invece ogni contribuente deve poter indicare a quale lista destinare
il suo eventuale 4 per mille, a vantaggio dei partiti più credibili e
popolari. Fissato il come e il quanto, occorrono poi sanzioni
draconiane per chi sgarra: chi spende più del tetto, o presenta documentazione
poco credibile, o tiene bilanci opachi, o viola le regole di democrazia interna
(congressi, primarie, tessere, candidature, codice etico), paga con la decadenza
immediata dei suoi eletti, in più restituisce tutti i contributi privati e
pubblici dell’ultimo quinquennio e perde il diritto a incassare quelli del
quinquennio successivo: cioè fallisce e chiude bottega. Tutto il resto è
truffa..............
Un consiglio per noi tutti..............basta silenzio ora ci vogliono i fatti
Max
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