Un Presidenzialismo di stampo piduista: i 10 saggi e il no alle dimissioni per un Napolitano bis?
Tutto si può dire, meno che Giorgio Napolitano non sia furbo (altro che Morfeo…). Basti guardare agli ultimi mesi di politica italiana: se c’è qualcuno che ha determinato la linea da seguire quello è proprio Napolitano. Ecco perché non può essere affatto esclusa l’ipotesi che anche ora, con la nomina dei dieci saggi, Re Giorgio abbia messo in campo una sua strategia chiara: ottenere un secondo mandato che accontenti Pd, Pdl e Terzo Polo. Ecco perché e, soprattutto, come…

Tutto,
ovviamente, deciso, manipolato, orchestrato da lui, Re
Giorgio,
l’inquilino del Quirinale alla scadenza del suo mandato. Non
poteva dimettersi a questo punto?
Non sarebbe stato meglio, dato che un nuovo Presidente della
Repubblica avrebbe potuto sciogliere le Camere e rimandare tutti al
voto (con una nuova legge elettorale, ovvio)? Macchè. L’alto
“senso
delle istituzioni”
non avrebbe
permesso
a Napolitano (ma, come vedremo, il condizionale è d’obbligo) di
fare un simile vile gesto. E allora ecco i suoi nomi, i dieci
saggi
scelti da Re Giorgio, a compimento del suo (dis?)onorevole
settennato.
Ma
a questo punto poniamoci una domanda: siamo
sicuri che dietro ci sia solo “alto
senso delle istituzioni”
e non una tattica ben precisa di Napolitano?
NAPOLITANO
VIRA SULLA NOMENKLATURA. PERCHÉ? - Partiamo
da un dato più che ovvio: Napolitano
ha virato sulla Nomenklatura,
sui nomi dell’inciucio, dei compromessi, del tecnicismo quanto mai
lontano dal volere che i cittadini hanno espresso tramite voto
democratico. Del primo gruppo faranno parte Gaetano
Quagliariello
del Pdl (secondo firmatario del ddl sul processo breve, per
intenderci), l’emblema dell’inciucio Pd-Pdl Luciano
Violante,
il montiano Mario
Mauro
(ex berlusconiano anche lui). E poi l’unico realmente presentabile,
Valerio
Onida,
presidente emerito della Corte costituzionale, di area democratica,
non sgradito al M5S.
Per
il secondo gruppo, invece, Napolitano ha scelto ancora una volta
tecnici, quasi come se l’esperienza Monti non fosse servita a nulla
(d’altronde l’ha riconfermato a capo dell’esecutivo sebbene si
sia dimesso in tempi non sospetti…): il presidente dell’Istat,
Giovannini;
quello dell’Authority per la concorrenza, Pitruzzella
(da sempre amico e collega della famiglia di Renato
Schifani);
Rossi,
della Banca d’Italia; Giorgetti
della Lega (di cui parla Gianpiero
Fiorani
nell’inchiesta Antonveneta), Bubbico
del Pd (indagato per abuso d’ufficio) e Moavero
di
Scelta civica.
Ancora
una volta, dunque, la partecipazione elettorale è stata messa da
parte, relegata in un cantuccio. Da
chi?
Da lui, il Presidente della Repubblica, proprio colui che dovrebbe
essere garante di democrazia.

Essenzialmente
per due
motivi.
Uno. Da domani lo
stallo politico sarà ancora maggiore
dato che avremo un esecutivo
(quello Monti), un Parlamento
e, come se non bastasse, la ciurma
dei dieci
saggi
il cui compito ancora non è chiaro, soprattutto dopo le parole di
ieri dello stesso Presidente della Repubblica che ha parlato di
“carattere
informale”.
Cosa vuol dire questo?
Che probabilmente lavorerà su determinate questioni, le avanzerà al
Parlamento che poi ci lavorerà su. Non sarebbe convenuto, a questo
punto, che l’esecutivo Monti andasse alle Camere, chiedesse la
fiducia e poi, una volta delineatesi maggioranza e opposizioni, si
formassero le commissioni che si sarebbero messe subito al lavoro?
Insomma, quello che sembra è che si sia aggiunto un passaggio in più
nel già intricato
(e lungo e inutile) mondo parlamentare italiano
LA
CARTA DI RE GIORGIO -
Seconda questione, e più importante. A
cosa serve questa decisione di Napolitano se, tempo due settimane, si
comincerà con le sedute per l’elezione del suo successore?
Ecco allora il punto: quello che sembra è che la carta
giocata da Giorgio Napolitano
sia tutta finalizzata ad indirizzare la politica italiana nella
scelta
del prossimo inquilino del Quirinale.
Siamo
sinceri: in due settimane di tempo è certo che non si arriverà ad
alcuna riforma. Ecco perché non si può sottovalutare il legame
tra la scelta dei saggi e le elezioni che partiranno dal 15 aprile.
Se partiamo da quest’assunto, allora il messaggio lanciato alle
forze politiche è chiaro. I nomi scelti da Napolitano, in altre
parole, indicano nitidamente la linea da seguire: cercate
compromessi, cercate convergenze, cercate personalità che possano
accontentare Pd, Pdl e Terzo Polo.
Proprio come emerso nella scelta dei dieci saggi, dove abbondano
uomini vicini al Pd (ma non sgraditi a Berlusconi, come Violante), al
Pdl e a Monti.

Poi
ci sono 58
delegati regionali,
tre per ogni regione (ad eccezione della Valle D’Aosta che ne
manderà solo uno), due espressione della maggioranza e uno
dell’opposizione. Il centrosinistra in dieci
regioni
governa e in altrettante è all’opposizione (ma non ha un
delegato dalla Valle D’Aosta). Il calcolo è immediato: il
centrosinistra si potrà presentare con 29
delegati
che portano a 501
i grandi elettori
in quota. Ne bastano altri tre per mettere il cappello sull’uomo
che dovrà affidare il futuro incarico di governo o sciogliere di
nuovo le camere. Insomma, il Pd è già da ora ad un passo dalla
vittoria. Ma sa
bene che i voti mancanti dovrà pescarli necessariamente dalle forze
moderate, Monti o Berlusconi che sia.
GRILLO?
ESCLUSO -
Ecco allora l’intervento di Giorgio Napolitano che, nei fatti, ha
già aperto le trattative con la scelta ponderata ed equilibrata dei
dieci saggi. E
Grillo?
A patto non ci siano cambi di rotta, sarà escluso
dai giochi.
Un esempio per capirci. Ammettiamo che il Pd proponga personalità
come Stefano
Rodotà
(dunque nei fatti non sgradite al Movimento): anche in questo caso è
difficile che i cittadini-onorevoli
votino per il giurista dato che, come scritto sul blog, saranno
“obbligati” a votare il nome che uscirà dalle consultazioni
online del Movimento.
I PAPABILI? I
SOLITI -
Chi potrebbero essere allora i papabili? A questo punto i nomi
potrebbero essere i “soliti”. Da Gianni
Letta
(nome che certamente verrà avanzato dal Pdl) al nipote democratico
Enrico,
dallo stesso Luciano
Violante
a Mario
Monti
o altri membri del suo esecutivo (su tutti Anna
Maria Cancellieri),
fino a Pier
Ferdinando Casini.
Insomma, è proprio la nomina dei dieci saggi che ha dato il la
alle trattative per l’elezione del Quirinale.
LA
STRATEGIA DI RE GIORGIO: VOTATE ME -
Senza dimenticare un’ultima (remota?) ipotesi: Giorgio
Napolitano.
Già, proprio lui. Questa ipotesi spiegherebbe, ad esempio, perché
non abbia per nulla considerato la possibilità
di sue dimissioni
(cosa avrebbe cambiato una settimana in più per lui?). E darebbe
ragione anche della scelta
dei dieci
saggi.
Come detto, nomi
che accontentano tutti, dal Pd a Monti fino a Berlusconi.
Non a caso Re Giorgio ha deciso di non scegliere nessuno dei Cinque
Stelle, sapendo che difficilmente Grillo possa accettare una sua
rielezione (né potrebbe dopo le consultazioni online).
A questo punto si dirà:
sì, ma
Napolitano ha parlato chiaro, ha detto che non vuole restare al
Quirinale.
Vero. Ma c’è un precedente.
“Il
mio orizzonte finisce ad aprile 2013, non c'è alcun dubbio”.
Era l’otto settembre 2012. A parlare era Mario
Monti.
Sappiamo bene com’è andata a finire.
Che schifo questo paese..............veramente schifo
Max
.....dopo aver letto tutto, ho capito che lo schifo rimane, e per il momento non abbiamo nessuna probabilità di cambiare qualcosa,allora mi chiedo ma noi italiani abbiamo capito il caos che abbiamo nella nostra politica??? e poi chi ha avuto la bella idea di votare un partito per protesta, ha capito che ci siamo ritrovati in un baratro senza fondo, senza sapere come uscirne??? e la maggior parte del popolo si è resa conto di come siamo messi????????ho qualche remora, speriamo in un miglioramento per chi crede ancora che tutto possa avvenire, forse, ma che sia qualcosa di concreto e valido e che ci aiuti a far rialzare un popolo ormai in ginocchio. Caro Massimo mi sa che siamo rimasti in pochi a credere ancora nei dei valori umani
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