“Conosci
te stesso”: il
famoso monito di Socrate scritto sul tempio di Delfi non può non
essere quanto mai attuale.
Esso
riassume in modo lapidario l’essenza
stessa della POLITICA,
quale espressione del “sapere competente”, della “virtù”
come “conoscenza” e come “scienza della misura” che deve
governare l’agire dell’uomo.
Nulla
a che vedere con la RETORICA: il
retore non parla di ciò che sa, ma di ciò che crede di sapere.
La
morte della Politica, e con essa dello Stato, cui si assiste in
maniera inesorabile è tristemente connessa allo smarrimento di
questa profonda ed, al tempo stesso, essenziale distinzione. Ma lo
Stato, parafrasando Cicerone, è
la res
publica,
la cosa che appartiene al popolo ed,
in definitiva, il popolo stesso, il quale sussiste
come Stato in virtù del diritto:
senza il diritto il popolo diventa moltitudine, massa, disgregazione
dello Stato.
Ma
questo rapporto
Stato – popolo – diritto ha
come chiave di volta il principio della “libertà”,
la quale esiste solo in quanto proprio al
popolo viene riconosciuta la “summa potestas”, la
oramai retoricamente citata “sovranità popolare”. Se questa
viene a mancare la
deriva è inevitabilmente verso la tirannide o l’oligarchia,
con la conseguente distruzione proprio di quel vincolo giuridico che
tiene unita la società.
Tutto
questo, senza dimenticare come l’equilibrio
tra autorità e libertà,
all’interno dello Stato, deve
e può essere garantito solo dal ceto medio:
solo una forte classe media, ricordando Aristotele, è infatti in
grado di assicurare quell’equilibrio sociale che è la condizione
necessaria e imprescindibile di ogni democrazia.
Non
vedo politici, oggi, solo retori, tutti intenti a condurre e recitare
una pièce tragicomica di chi ha voluto svuotare lo Stato della sua
stessa essenza, giuridica (diritto) e umana (popolo), per consegnarla
ad un manipolo di avidi banchieri e tecnocrati, di cui forse troppi,
ancora oggi, ignorano l’esistenza.
Così,
in totale spregio della Politica, intesa come massima espressione
della “discrezione” di Guicciardiniana memoria, e dello Stato, si
è permesso ad una classe, che pretende di definirsi “politica”,
di svuotare il Parlamento ed il Governo di ogni potere, riducendoli
oramai a semplici esecutori di ordini provenienti da un’ ”Europa”
che del concetto di “Stato” non ha neppure la parvenza, con
lacune quasi incolmabili in termini di democrazia e oramai
completamente scollata dai suoi popoli e gestita, di fatto, dai
protagonisti di un capitalismo finanziario che ha fatto della
speculazione il proprio credo e che sta polverizzando le economie
reali di interi Stati e le loro classi medie, in un disastro anche, e
soprattutto, umano, sul quale non è più dignitoso tacere.
Non
c’è dignità nell’assistere inerti dinnanzi alla distruzione dei
popoli.
Non
c’è onore nel silenzio.
Non
c’è né dignità né onore nel consentire che vengano annichiliti
i principi e i valori più nobili.
Non
c’è né dignità né onore nel calpestare le più alte conquiste
dell’uomo.
Nessuna dignità è nessun onore per
chi “vende” il suo popolo.
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