CARO BEPPE, CI HAI PRESO DAVVERO PER CAPRE IGNORANTI?? Ecco la verità sul reddito di cittadinanza presentato dai 5 Stelle bocciato in parlamento
Beppe Grillo ha pubblicato un post in cui lamenta che i partiti in Senato hanno bocciato la mozione del MoVimento 5 Stelle (sostenuta anche da SEL) sull’introduzione del reddito di cittadinanza.
Partiamo con l’abc. Una mozione non è un progetto di legge, ma la sua approvazione implica l’obbligo per il Governo a comportarsi in un certo modo, a seguire un certo indirizzo politico. Quindi, può essere opportuno in un atto del genere non parlare di cifre o rimanere sul generico in taluni passaggi, affinché possa essere approvato e da quel momento fare pressione sull’esecutivo.
Nell’ultima seduta al Senato ne sono state discusse quattro di mozioni, tutte su “politiche di contrasto al fenomeno della povertà”. Una di queste era, per l’appunto, quella proposta da M5S. In sede di discussione, il viceministro Guerra ha mostrato apertura e dato alcuni suggerimenti – riferiti non soltanto a questa mozione, ma pure alle altre tre – affinché il governo potesse far proprie la maggior parte delle proposte. Il primo e più importante suggerimento relativo alla mozione M5S è stato il seguente: “non vincolare il Governo a una specifica dizione, che sappiamo essere divisiva, ma di impegnarlo con forza a introdurre, per quanto per gradi, misure di contrasto alla povertà assoluta. Pertanto propongo di sostituire al punto 1) del dispositivo il termine «reddito minimo garantito» con le seguenti parole: «misure di contrasto alla povertà»”. Un’osservazione tecnica (peraltro ben giustificata, visto che lo stesso Beppe Grillo, in suo tweet successivo alla votazione e nello stesso post in cui ha raccontato la vicenda, ha parlato non di “reddito minimo garantito”, ma di “reddito di cittadinanza”: a conferma che la terminologia è importante e può essere divisiva), per permettere l’accoglimento della mozione da parte di un esecutivo che, a dirla tutta, non ha mai mostrato ostilità verso il reddito minimo. Il M5S, però, ha rifiutato “per un problema di natura squisitamente politica”, ossia la necessità di avere chiarezza a costo di essere divisivi. E così la mozione è stata bocciata, perché – come ha spiegato il viceministro al momento del voto – la motivazione con cui è stato rifiutato di apportare la modifica, volta a sottolineare la divisione di vedute, ha di fatto imposto il parere contrario del Governo.
Su Twitter i simpatizzanti grillini a quel punto si sono scatenati: “il governo Letta lascia indietro i cittadini”, “ecco chi ha votato contro i cittadini” e così via. Insomma: io propongo di fare un passo verso di te se tu ne fai uno verso di me, ma tu rifiuti di farlo e finisce che la figura di quello cattivo la faccio io.
Ma andiamo avanti.
Contemporaneamente sono state votate anche altre mozioni. Una, del PD, prevedeva di assegnare ulteriori 300 milioni di euro al Fondo Nazionale per le politiche sociali, 250 milioni per la nuova social card e 50 per la vecchia, 100 milioni alla morosità incolpevole e la previsione di nuove forme di sostegno al reddito. Anche in questo caso il ministro Guerra aveva chiesto modifiche (togliendo le cifre puntuali perché “in questa fase il Governo non può prendere impegni che lo vincolino all’individuazione di un ammontare di risorse predefinito” e sostituendo le parti cassate con altre formule), i proponenti le hanno accettate e il provvedimento è stato approvato. Non grazie al M5S, però, perché si è astenuto e l’astensione al Senato equivale a votare contro. Soltanto che stavolta non si è scatenata su Twitter la caccia al parlamentare che ha votato contro l’aumento di risorse per le politiche sociali e l’introduzione di nuove forme di sostegno al reddito. Eppure, se avessimo voluto seguire la logica di prima, sarebbe stato legittimo scrivere frasi come “Grillo non vuole un aumento di soldi per le politiche sociali”, “il M5S abbandona a sé stessi i poveri che rischiano di perdere la casa” e così via.
Morale della favola?
Secondo me ce ne sono almeno due.
La prima riguarda la strategia parlamentare del M5S. A voler fare i radicali, i duri e puri, i massimalisti magari si fa bella figura con i propri elettori e si guadagna la possibilità di qualche tweet al vetriolo contro la Kasta. Ma di risultati concreti se ne ottengono pochini.
La seconda è che non è tutto oro quel che luccica: prima di scatenare campagne social contro questo o quello, sarebbe meglio informarsi di più e andare a fondo di certe vicende.
Partiamo con l’abc. Una mozione non è un progetto di legge, ma la sua approvazione implica l’obbligo per il Governo a comportarsi in un certo modo, a seguire un certo indirizzo politico. Quindi, può essere opportuno in un atto del genere non parlare di cifre o rimanere sul generico in taluni passaggi, affinché possa essere approvato e da quel momento fare pressione sull’esecutivo.
Nell’ultima seduta al Senato ne sono state discusse quattro di mozioni, tutte su “politiche di contrasto al fenomeno della povertà”. Una di queste era, per l’appunto, quella proposta da M5S. In sede di discussione, il viceministro Guerra ha mostrato apertura e dato alcuni suggerimenti – riferiti non soltanto a questa mozione, ma pure alle altre tre – affinché il governo potesse far proprie la maggior parte delle proposte. Il primo e più importante suggerimento relativo alla mozione M5S è stato il seguente: “non vincolare il Governo a una specifica dizione, che sappiamo essere divisiva, ma di impegnarlo con forza a introdurre, per quanto per gradi, misure di contrasto alla povertà assoluta. Pertanto propongo di sostituire al punto 1) del dispositivo il termine «reddito minimo garantito» con le seguenti parole: «misure di contrasto alla povertà»”. Un’osservazione tecnica (peraltro ben giustificata, visto che lo stesso Beppe Grillo, in suo tweet successivo alla votazione e nello stesso post in cui ha raccontato la vicenda, ha parlato non di “reddito minimo garantito”, ma di “reddito di cittadinanza”: a conferma che la terminologia è importante e può essere divisiva), per permettere l’accoglimento della mozione da parte di un esecutivo che, a dirla tutta, non ha mai mostrato ostilità verso il reddito minimo. Il M5S, però, ha rifiutato “per un problema di natura squisitamente politica”, ossia la necessità di avere chiarezza a costo di essere divisivi. E così la mozione è stata bocciata, perché – come ha spiegato il viceministro al momento del voto – la motivazione con cui è stato rifiutato di apportare la modifica, volta a sottolineare la divisione di vedute, ha di fatto imposto il parere contrario del Governo.
Su Twitter i simpatizzanti grillini a quel punto si sono scatenati: “il governo Letta lascia indietro i cittadini”, “ecco chi ha votato contro i cittadini” e così via. Insomma: io propongo di fare un passo verso di te se tu ne fai uno verso di me, ma tu rifiuti di farlo e finisce che la figura di quello cattivo la faccio io.
Ma andiamo avanti.
Contemporaneamente sono state votate anche altre mozioni. Una, del PD, prevedeva di assegnare ulteriori 300 milioni di euro al Fondo Nazionale per le politiche sociali, 250 milioni per la nuova social card e 50 per la vecchia, 100 milioni alla morosità incolpevole e la previsione di nuove forme di sostegno al reddito. Anche in questo caso il ministro Guerra aveva chiesto modifiche (togliendo le cifre puntuali perché “in questa fase il Governo non può prendere impegni che lo vincolino all’individuazione di un ammontare di risorse predefinito” e sostituendo le parti cassate con altre formule), i proponenti le hanno accettate e il provvedimento è stato approvato. Non grazie al M5S, però, perché si è astenuto e l’astensione al Senato equivale a votare contro. Soltanto che stavolta non si è scatenata su Twitter la caccia al parlamentare che ha votato contro l’aumento di risorse per le politiche sociali e l’introduzione di nuove forme di sostegno al reddito. Eppure, se avessimo voluto seguire la logica di prima, sarebbe stato legittimo scrivere frasi come “Grillo non vuole un aumento di soldi per le politiche sociali”, “il M5S abbandona a sé stessi i poveri che rischiano di perdere la casa” e così via.
Morale della favola?
Secondo me ce ne sono almeno due.
La prima riguarda la strategia parlamentare del M5S. A voler fare i radicali, i duri e puri, i massimalisti magari si fa bella figura con i propri elettori e si guadagna la possibilità di qualche tweet al vetriolo contro la Kasta. Ma di risultati concreti se ne ottengono pochini.
La seconda è che non è tutto oro quel che luccica: prima di scatenare campagne social contro questo o quello, sarebbe meglio informarsi di più e andare a fondo di certe vicende.
Max
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